Fonte: Legge e Giustizia
L'art. 17 del regolamento deontologico forense dispone che sussiste la libertà di informazione da parte dell'avvocato sulla propria attività professionale, ma che tale informazione, quanto alla forma ed alle modalità deve "rispettare la dignità ed il decoro della professione" e non deve assumere i connotati della "pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa". L'art. 17 bis del cod. deontologico stabilisce le modalità specifiche dell'informazione e l'art. 19 fa divieto di acquisizione della clientela con "modi non conformi alla correttezza e al decoro". Non è illegittimo per l'organo professionale procedente individuare una forma di illecito disciplinare (non certamente nella pubblicità in sé perfettamente legittima nel suo aspetto informativo ma) nelle modalità e nel contenuto della pubblicità stessa, in quanto lesivi del decoro e della dignità della professione, e non nell'attività di acquisizione di clientela in sé, ma negli strumenti usati, allorché essi siano non conformi alla correttezza ed al decoro professionale.
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MALABUROCRAZIA
Accusato di evasione. E' falso Ma Equitalia: "Paghi lo stesso". Il fisco ammette l'errore, però intanto pignora 18mila Euro a un ex primario. Che ora chiede il risarcimento dei danni patrimoniali e di immagine. Qui l'articolo completo.
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RIVOGLIAMO I NOSTRI MARO' - CON LE BUONE O CON LE CATTIVE !
Mio Nipote, ha risposto alla solita pacifista che dava degli Assassini ai nostri Marò e mi sembra giusto copiare la risposta che ritengo esemplare:
"Allora la sentenza c'è stata e non l'hai fatto sapere a nessuno?! Hai passato in giudicato la vicenda e non hai avvertito nessuna autorità giudiziaria indiana del compito che ti sei sobbarcata. Gli saresti stata d'aiuto perché pensa, le autorità indiane, che sanno di aver rapito con l'inganno e di detenere illegalmente due cittadini stranieri, hanno deciso di non decidere, consapevoli di non averne l'autorità, che invece tu hai. Due "colpevoli" senza bisogno di giudizio, come nella migliore tradizione delle democrazie di stampo comunista/fascista. Io non avrei dato un giudizio sommario come il tuo nemmeno del peggior attentatore blackblock figlio di papà. Posso avere un'opinione, ma il giudizio pensa un pò, lo lascio ai giudici, competenti in materia, che ovviamente non sono quelli indiani. Ma io non sono un pacifista. Che vuoi che capisca di democrazia e di diritto...". Un abbraccio a tutti.
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"Allora la sentenza c'è stata e non l'hai fatto sapere a nessuno?! Hai passato in giudicato la vicenda e non hai avvertito nessuna autorità giudiziaria indiana del compito che ti sei sobbarcata. Gli saresti stata d'aiuto perché pensa, le autorità indiane, che sanno di aver rapito con l'inganno e di detenere illegalmente due cittadini stranieri, hanno deciso di non decidere, consapevoli di non averne l'autorità, che invece tu hai. Due "colpevoli" senza bisogno di giudizio, come nella migliore tradizione delle democrazie di stampo comunista/fascista. Io non avrei dato un giudizio sommario come il tuo nemmeno del peggior attentatore blackblock figlio di papà. Posso avere un'opinione, ma il giudizio pensa un pò, lo lascio ai giudici, competenti in materia, che ovviamente non sono quelli indiani. Ma io non sono un pacifista. Che vuoi che capisca di democrazia e di diritto...". Un abbraccio a tutti.
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Articolo 270 Sexies - Condotte con finalità di terrorismo
Codice penale - Fonte IL SOLE24ORE
Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana 26 ottobre 1930, n. 251
Codice Penale [approvato con R.D. 19.10.1930, n. 1398]
LIBRO SECONDO. Dei delitti in particolare - TITOLO PRIMO. Dei delitti contro la personalità dello Stato - CAPO PRIMO. Dei delitti contro la personalità internazionale dello Stato
1. Sono considerate con finalita' di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonche' le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalita' di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia. (1)
-----
(1) Il presente articolo è stato inserito dall'art. 15 D.L. 27.07.2005, n. 144, così come modificato dalla legge di conversione, L. 31.07.2005 con decorrenza dal 02.08.2005.
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Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana 26 ottobre 1930, n. 251
Codice Penale [approvato con R.D. 19.10.1930, n. 1398]
LIBRO SECONDO. Dei delitti in particolare - TITOLO PRIMO. Dei delitti contro la personalità dello Stato - CAPO PRIMO. Dei delitti contro la personalità internazionale dello Stato
1. Sono considerate con finalita' di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonche' le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalita' di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia. (1)
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(1) Il presente articolo è stato inserito dall'art. 15 D.L. 27.07.2005, n. 144, così come modificato dalla legge di conversione, L. 31.07.2005 con decorrenza dal 02.08.2005.
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Carta Roma !
Mi piace perché sono un ammiratore della tenacia politica del nostro vice sindaco Sveva Belviso ma, come al solito, bisognerebbe parlare della Burocrazia e dei gradini e dei documenti per certificare i gradini e dei cittadini che per capire debbono rivolgersi al CAF o al Patronato ma quale e quale sarà quello giusto? oddio non conosco nessuno, come faccio? e se poi mi dicono che non avevo diritto? e se poi arriva un'assistente sociale che mi fa arrestare e mi toglie il figlio ? beh...meglio non rischiare, mi nascondo e non chiedo nulla, tanto le avranno già assegnate agli amici ! :-(
Sportello Unico e Agenzie per le imprese, al decollo le novità telematiche
Ad avere lo Sportello Unico per le Attività Produttive sono il 92,3 per cento dei Comuni italiani. Sviluppo economico procede per completare questo percorso e ad affiancarvi altri strumenti, con l'aiuto delle Regioni
di Giuseppe Tripoli, Ministero allo Sviluppo Economico.
Sono solo 621 i Comuni privi di Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP). Ad averlo è quindi il 92,3 per cento del totale. Risulta dalle prime stime (vedi tabella in fondo all'articolo) che possiamo fare su questo nuovo strumento. Non solo: il Ministero allo Sviluppo Economico sta per provvedere con un Commissario ad Acta per colmare questa piccola lacuna.
Sta lavorando anche per completare - in raccordo con le Regioni - l’iter autorizzatorio necessario all'avvio delle Agenzie per le imprese, organismi privati che, accreditati dal Ministero in base ai requisiti prescritti, saranno autorizzati ad accettare le SCIA e a rilasciare la dichiarazione che consente l’avvio immediato dell’attività e, nel caso di procedimenti più complessi, svolgere le funzioni di supporto ai SUAP.
L’intento è quello di chiudere quanto prima questa fase, per arrivare alla concreta operatività delle prime Agenzie per le Imprese per l’inizio del 2013. Peraltro, l’avvio delle Agenzie non condizionerà in alcun modo l’operatività dei SUAP telematici rappresentando le medesime uno strumento aggiuntivo e non sostitutivo.
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di Giuseppe Tripoli, Ministero allo Sviluppo Economico.
Giuseppe Tripoli |
Sta lavorando anche per completare - in raccordo con le Regioni - l’iter autorizzatorio necessario all'avvio delle Agenzie per le imprese, organismi privati che, accreditati dal Ministero in base ai requisiti prescritti, saranno autorizzati ad accettare le SCIA e a rilasciare la dichiarazione che consente l’avvio immediato dell’attività e, nel caso di procedimenti più complessi, svolgere le funzioni di supporto ai SUAP.
L’intento è quello di chiudere quanto prima questa fase, per arrivare alla concreta operatività delle prime Agenzie per le Imprese per l’inizio del 2013. Peraltro, l’avvio delle Agenzie non condizionerà in alcun modo l’operatività dei SUAP telematici rappresentando le medesime uno strumento aggiuntivo e non sostitutivo.
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Libertà, Giustizia, Censura !
Ecco perché la libertà di pensiero va ... liberata !
( Fonte ADUC )
( Fonte ADUC )
Diffamazione
calunnia
apologia di delitto
apologia del Fascismo
vilipendio del Presidente della Repubblica
vilipendio di capo di Stato estero
vilipendio delle Camere
vilipendio del sentimento religioso
istigazione a delinquere
associazione a delinquere
stampa clandestina
ecc. ecc. ecc.
Questi e altri i reati d'opinione, commessi con l'espressione del pensiero. Retaggio di regimi autoritari, codificati in Italia durante il ventennio fascista, i reati d'opinione continuano oggi a limitare uno dei fondamenti della democrazia:
la libertà di espressione.
la libertà di espressione.
Controlli del Fisco sui contribuenti
di Francesca Vinciarelli - Fonte PMI
Arriva a compimento il percorso del Fisco per l'integrazione dei dati a disposizione delle diverse strutture dell'Amministrazione Finanziaria: ecco il nuovo strumento per combattere l'evasione fiscale.
Tra le misure anti-evasione fiscale adottate dal governo Monti c’è la costituzione di una nuova super banca dati del Fisco, che consentirà all'Amministrazione Finanziaria di archiviare e avere sempre a disposizione per la consultazione i dati fiscali di tutti i contribuenti italiani.
Qui l'articolo completo.
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Al via la banca dati unificata tra le strutture dell'Amministrazione Finanziaria |
Arriva a compimento il percorso del Fisco per l'integrazione dei dati a disposizione delle diverse strutture dell'Amministrazione Finanziaria: ecco il nuovo strumento per combattere l'evasione fiscale.
Tra le misure anti-evasione fiscale adottate dal governo Monti c’è la costituzione di una nuova super banca dati del Fisco, che consentirà all'Amministrazione Finanziaria di archiviare e avere sempre a disposizione per la consultazione i dati fiscali di tutti i contribuenti italiani.
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Una Disamina Chiarissima !
Qualche mese fa, in occasione delle dimissioni del Colonnello Rapetto, ho scritto: Un governo che fa perdere allo Stato i suoi uomini migliori, che inizia senza dare per primo un esempio, senza tagliare i propri stipendi, senza ridurre il numero dei parassiti, senza eliminare gli sprechi, un governo che punta tutto sull'aumento delle entrate e non sulla riduzione delle uscite, senza tener conto che gli F24 si sono DRASTICAMENTE ridotti e che la situazione, se possibile, è addirittura peggio di prima, beh... meglio un non governo che questa tragedia ! CONFERMO !!!
Euro, Unione Europea e Stati Uniti d'Europa.
http://www.studiostampa.com/2012/07/euro-unione-europea-e-stati-uniti.html
http://www.studiostampa.com/2010/03/unione-europea-e-stati-uniti-deuropa.html#comment-form
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Il Governo chiede suggerimenti sulla riforma della Giustizia. Arrivano le ricette della Banca Mondiale
Nel "Doing Business in Italy 2013" l'urgenza della riforma della giustizia civile in Italia. Le modifiche applicabili all'ordinamento corrente, adottate in altri Paesi con criticità simili a quelle italiane. E' la prima volta che un Paese del G7 chiede una consulenza di questo tipo.
"Doing Business" è il nome di un progetto decennale della Banca Mondiale che mira a misurare l'efficienza delle regolamentazioni d'impresa nazionali attraverso indicatori costruiti secondo una metodologia standard e "benchmarking", che permette cioè di effettuare comparazioni "ceteris paribus" tra i Paesi nel mondo.
Il rapporto "Doing Business in Italy 2013" pubblicato quest'oggi analizza l'efficienza delle regolamentazioni d'impresa in tredici città (Bari, Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L'Aquila, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Potenza, Roma e Torino) e sette porti italiani (Cagliari, Catania, Genova, Gioia Tauro, Napoli, Taranto e Trieste). Lo studio costituisce una versione più approfondita del più generale rapporto "Doing Business" e, oltre a descrivere i diversi ostacoli e le opportunità che i piccoli e medi imprenditori debbono affrontare a seconda di dove siano localizzati, permette anche la comparazione delle regolamentazioni con altre 350 città nel mondo (analizzate in altri rapporti "subnazionali"). Una simile analisi, prima nel suo genere in un paese del G7, è stata avviata su iniziativa di Biagio Bossone, responsabile del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, che ha anche provveduto a finanziare l'intero progetto.
Avendo la Banca Mondiale individuato da tempo come centrale per lo sviluppo del tessuto produttivo di un paese la rapidità e l'efficienza della giustizia civile, Doing Business misura con un indicatore specifico anche l'efficienza del sistema giudiziario di un paese in questo ambito. Nella fattispecie, il rapporto analizza i costi (rappresentati dal costo dell'avvocato, dalle spese processuali del giudizio e dal costo per l'esecuzione della sentenza), i tempi e le fasi processuali necessarie per dirimere una disputa commerciale presso un tribunale locale.
Nelle tredici città esaminate, la risoluzione di una controversia commerciale "standard" (secondo quanto definito dalla metodologia Doing Business) richiede in media 41 fasi processuali, per una durata di 1400 giorni ed un costo complessivo pari al 26,2% del valore della controversia stessa. "La performance di queste città è ben al di sotto di quella degli altri Paesi dell'Unione Europea", si legge nel rapporto, "dove la media è di 32 fasi processuali e 547 giorni" ed il costo risulta "pari al 21,5% del valore della controversia". Inoltre, includendo il valore medio delle performance delle tredici città italiane nella classifica globale Doing Business, l'Italia si collocherebbe al 155° posto su una lista di 185 Paesi (migliori di noi, per citarne solo alcuni, la Sierra Leone, il Malawi, l'Iraq, la Bolivia).
Come detto, tuttavia, l'analisi riportata nel rapporto permette di enucleare le differenze esistenti tra diverse realtà del Paese. Così a Torino una disputa sarà risolvibile in "soli" 855 giorni ad un costo del 22,3% del valore della controversia, mentre a Bari, ad esempio, saranno necessari 2022 giorni per la risoluzione del medesimo contenzioso, ad un costo pari al 34,1% del valore dello stesso. Lo stesso tipo di processo, di contro, durerebbe 390 giorni in Francia, 394 in Germania e 510 in Spagna: anche nella città più efficiente d'Italia, dunque, i tempi della giustizia supererebbero di gran lunga quelli registrati in altre città d'Europa.
L'urgenza di una riforma della giustizia civile in Italia è sottolineata a più riprese nel rapporto, nel quale vengono indicate una serie di modifiche applicabili all'ordinamento corrente le quali, adottate in altri Paesi con criticità simili a quelle italiane, hanno di recente condotto ad ottimi risultati. Tra queste troviamo la promozione di nuovi sistemi di gestione delle cause, il monitoraggio delle attività dei magistrati, l'introduzione di leggi ad hoc che disciplinino la riduzione della cause in arretrato, la promozione del processo telematico e la specializzazione dei tribunali.
Fonte: FAINOTIZIA
SCARICA L'INTERO RAPPORTO
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"Doing Business" è il nome di un progetto decennale della Banca Mondiale che mira a misurare l'efficienza delle regolamentazioni d'impresa nazionali attraverso indicatori costruiti secondo una metodologia standard e "benchmarking", che permette cioè di effettuare comparazioni "ceteris paribus" tra i Paesi nel mondo.
Il rapporto "Doing Business in Italy 2013" pubblicato quest'oggi analizza l'efficienza delle regolamentazioni d'impresa in tredici città (Bari, Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L'Aquila, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Potenza, Roma e Torino) e sette porti italiani (Cagliari, Catania, Genova, Gioia Tauro, Napoli, Taranto e Trieste). Lo studio costituisce una versione più approfondita del più generale rapporto "Doing Business" e, oltre a descrivere i diversi ostacoli e le opportunità che i piccoli e medi imprenditori debbono affrontare a seconda di dove siano localizzati, permette anche la comparazione delle regolamentazioni con altre 350 città nel mondo (analizzate in altri rapporti "subnazionali"). Una simile analisi, prima nel suo genere in un paese del G7, è stata avviata su iniziativa di Biagio Bossone, responsabile del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, che ha anche provveduto a finanziare l'intero progetto.
Avendo la Banca Mondiale individuato da tempo come centrale per lo sviluppo del tessuto produttivo di un paese la rapidità e l'efficienza della giustizia civile, Doing Business misura con un indicatore specifico anche l'efficienza del sistema giudiziario di un paese in questo ambito. Nella fattispecie, il rapporto analizza i costi (rappresentati dal costo dell'avvocato, dalle spese processuali del giudizio e dal costo per l'esecuzione della sentenza), i tempi e le fasi processuali necessarie per dirimere una disputa commerciale presso un tribunale locale.
Nelle tredici città esaminate, la risoluzione di una controversia commerciale "standard" (secondo quanto definito dalla metodologia Doing Business) richiede in media 41 fasi processuali, per una durata di 1400 giorni ed un costo complessivo pari al 26,2% del valore della controversia stessa. "La performance di queste città è ben al di sotto di quella degli altri Paesi dell'Unione Europea", si legge nel rapporto, "dove la media è di 32 fasi processuali e 547 giorni" ed il costo risulta "pari al 21,5% del valore della controversia". Inoltre, includendo il valore medio delle performance delle tredici città italiane nella classifica globale Doing Business, l'Italia si collocherebbe al 155° posto su una lista di 185 Paesi (migliori di noi, per citarne solo alcuni, la Sierra Leone, il Malawi, l'Iraq, la Bolivia).
Come detto, tuttavia, l'analisi riportata nel rapporto permette di enucleare le differenze esistenti tra diverse realtà del Paese. Così a Torino una disputa sarà risolvibile in "soli" 855 giorni ad un costo del 22,3% del valore della controversia, mentre a Bari, ad esempio, saranno necessari 2022 giorni per la risoluzione del medesimo contenzioso, ad un costo pari al 34,1% del valore dello stesso. Lo stesso tipo di processo, di contro, durerebbe 390 giorni in Francia, 394 in Germania e 510 in Spagna: anche nella città più efficiente d'Italia, dunque, i tempi della giustizia supererebbero di gran lunga quelli registrati in altre città d'Europa.
L'urgenza di una riforma della giustizia civile in Italia è sottolineata a più riprese nel rapporto, nel quale vengono indicate una serie di modifiche applicabili all'ordinamento corrente le quali, adottate in altri Paesi con criticità simili a quelle italiane, hanno di recente condotto ad ottimi risultati. Tra queste troviamo la promozione di nuovi sistemi di gestione delle cause, il monitoraggio delle attività dei magistrati, l'introduzione di leggi ad hoc che disciplinino la riduzione della cause in arretrato, la promozione del processo telematico e la specializzazione dei tribunali.
Fonte: FAINOTIZIA
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Corte Costituzionale - No Mediazione Obbligatoria
DIFENDIAMO LA MEDIAZIONE:
Con la forza di 948 Organismi e 90.000 Mediatori
Il Comunicato Stampa del 24.10.2012 evidenzia che la Corte Costituzionale “ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione”. La Corte Costituzionale, pertanto, ha concentrato l’attenzione esclusivamente sull’eccesso di delega ex articolo 77.
La “ratio” della riforma della mediazione civile si fonda su buone ragioni giuridiche e sociali; occorre farle emergere per il bene del Paese Italia. Con un disposto normativo che sani la carenza di delega del d.lgs. 28/2010 e rafforzi l’istituto della mediazione secondo i parametri europei della competenza e professionalità dei mediatori, necessariamente con il ruolo da protagonista della classe forense che, con la sua esperienza e competenza potrà essere la “guida illuminata” in tale percorso.
Per saperne di più:
http://www.adrnetwork.it/novita_scheda.php?ID=00195
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LA SENTENZA SULLA MEDIAZIONE
il Fumus Boni Iuris da far emergere
Il dispositivo, seguito all'udienza pubblica della Corte Costituzionale del 23.10.2012, rappresenta il triste epitome di circa un anno di confronto/scontro sulla riforma della mediazione civile in Italia. Tanto si è discusso in questi ultimi mesi di tale riforma e delle relative eccezioni di costituzionalità; forse anche troppo e, spesso, in modo improprio.
Per saperne di più:
http://www.adrnetwork.it/novita_scheda.php?ID=00194
IL VOSTRO UFFICIO STAMPA
La responsabilita’ civile e penale dell’amministratore di condominio.
Articolo di Alessandro Gallucci
L’amministratore è il mandatario dei condomini (o del condominio, la differenza non è di poco conto e ci riferiamo ai proprietari solo perche’ quella è l’indicazione preponderante in giurisprudenza, cfr. Cass. SS.UU. n. 9148/08).
Come legale rappresentante della compagine, egli commettere errori e quindi incorrere in responsabilità connesse all'espletamento dell’incarico. Errori o, peggio, comportamenti volontari ai quali sono riconnesse responsabilita’ di tipo civile e penale. Partiamo da queste ultime. L’amministratore “fugge con la cassa condominiale”? Egli commette il reato di appropriazione indebita aggravata. Il mandatario si mette d’accordo con le imprese per gonfiare le fatture per la prestazione dei servizi per incassare più del dovuto e spartirsi il malloppo? Allora è punibile per truffa. L’amministratore fa eseguire interventi edilizi senza le necessarie autorizzazioni amministrative? Sarà imputabile, a seconda dell’omissione, per il reato edilizio di riferimento (cfr. d.p.r. n. 380/01). Ciò per quanto riguarda i profili penali. E per quelli civili? Di che cosa può rendersi responsabile l’amministratore? Innanzitutto c’è la responsabilita’ nei confronti dei condomini per l’inadempimento delle incombenze che gli spettano per legge fin dal momento della nomina. In pratica quelle di cui s’è detto fin’ora. L’amministratore, inoltre, è responsabile per “eccesso di potere”. Si pensi al cambio di fornitore di energia elettrica o al contratto di assicurazione, entrambi stipulato senza preventivo consenso dell’assemblea. Salvo successiva ratifica egli è responsabile verso il condominio e verso il terzo (artt. 1398-1711 c.c.). Il mandatario, inoltre, può essere responsabile per avere eseguito delibere palesemente illegittime. Si pensi alle decisioni assembleari che senza alcuna autorità impongono limitazioni all'uso delle parti di proprietà esclusiva. Con riferimento a quest’ultima ipotesi è necessario chiedersi: fino a che punto deve spingersi la valutazione dell’amministratore. circa la legittimità’ di una decisione dell’assise?
Per rispondere al quesito non si può partire dal rapporto giuridico che s’instaura tra compagine e proprio rappresentante: un contratto di mandato. Ebbene in quest’ambito, è la legge a dircelo (art. 1710 c.c.), l’amministratore è tenuto a comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia che, “tradotto dal legalese all'italiano”, significa: dare delle valutazioni senza entrare nello specifico di questioni che per complessità non gli competono. Un amministratore può valutare se una delibera è lesiva di un diritto di servitù a favore di un condomino (o di un terzo) su una cosa comune. Se lo è non deve eseguirla. Se l’assemblea si è autoconvocata, l’amministratore è tenuto a considerare veritiere le affermazioni contenute nel verbale, in merito alla regolare convocazione, senza poter sindacare la legittimità del deliberato stesso, salvo prove evidenti discordanti. Sostanzialmente si puo’ dire che di fronte a delibere chiaramente nulle l’amministratore debba rifiutarsi di porle in esecuzione, eventualmente convocando un’assemblea per spiegarne i motivi. A fronte di decisioni formalmente viziate (es. omessa convocazione) all’amministratore, per prudenza, basterà attendere lo spirare del termine d’impugnazione di cui all’art. 1137 c.c. Diversamente, in entrambi i casi, è ipotizzabile una responsabilità contrattuale per inadempimento.
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L’amministratore è il mandatario dei condomini (o del condominio, la differenza non è di poco conto e ci riferiamo ai proprietari solo perche’ quella è l’indicazione preponderante in giurisprudenza, cfr. Cass. SS.UU. n. 9148/08).
IL CONDOMINIO |
Per rispondere al quesito non si può partire dal rapporto giuridico che s’instaura tra compagine e proprio rappresentante: un contratto di mandato. Ebbene in quest’ambito, è la legge a dircelo (art. 1710 c.c.), l’amministratore è tenuto a comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia che, “tradotto dal legalese all'italiano”, significa: dare delle valutazioni senza entrare nello specifico di questioni che per complessità non gli competono. Un amministratore può valutare se una delibera è lesiva di un diritto di servitù a favore di un condomino (o di un terzo) su una cosa comune. Se lo è non deve eseguirla. Se l’assemblea si è autoconvocata, l’amministratore è tenuto a considerare veritiere le affermazioni contenute nel verbale, in merito alla regolare convocazione, senza poter sindacare la legittimità del deliberato stesso, salvo prove evidenti discordanti. Sostanzialmente si puo’ dire che di fronte a delibere chiaramente nulle l’amministratore debba rifiutarsi di porle in esecuzione, eventualmente convocando un’assemblea per spiegarne i motivi. A fronte di decisioni formalmente viziate (es. omessa convocazione) all’amministratore, per prudenza, basterà attendere lo spirare del termine d’impugnazione di cui all’art. 1137 c.c. Diversamente, in entrambi i casi, è ipotizzabile una responsabilità contrattuale per inadempimento.
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Laziogate, Francesco Storace assolto in Appello: “sette anni di calvario”.
Sette anni per arrivare all'ASSOLUZIONE !
E’ stato assolto perché il fatto non sussiste l'ex presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, attualmente leader de La Destra. E’ quanto ha deciso la Corte di Appello di Roma nell'ambito dell’inchiesta cosiddetta Laziogate, ribaltando completamente la precedente sentenza. Nel 2005 fu accusato di associazione a delinquere, spionaggio e violazione dell’anagrafe del comune di Roma. In primo grado Storace era stato infatti condannato a un anno e sei mesi di reclusione per concorso in accesso abusivo a un sistema informatico.
Più nel dettaglio, la vicenda si riferisce a un'incursione nella banca dati dell'anagrafe del Comune di Roma per attività di spionaggio ai danni del movimento "Alternativa Sociale", guidato da Alessandra Mussolini, che si era presentato nel 2005 alle elezioni regionali.
Sono cadute le accuse anche nei confronti del suo ex portavoce Nicolò Accame, che in primo grado aveva avuto 2 anni. Assolti Mirko Maceri, ex direttore di Laziomatica e l'avvocato Romolo Reboa (che presentò l'esposto a suo tempo contro Alternativa sociale), Nicola Santoro, figlio del magistrato della commissione elettorale presso la corte d'appello di Roma (che escluse AS dalle elezioni). Avevano avuto un anno. Cadute le contestazioni anche per l'allora vicepresidente del consiglio comunale per An, Vincenzo Piso (per cui anche in primo grado la Procura aveva chiesto l'assoluzione). Unica condannata, Tiziana Perreca, ex collaboratrice dello staff di Storace, che ha avuto 6 mesi per favoreggiamento. Confermata l'assoluzione di Daniele Caliciotti, l'ex dipendente di Laziomatica (nei suoi confronti non era stata appellata la sentenza).
Il commento di Storace- E’ visibilmente commosso Francesco Storace quando commenta la decisione della Corte d’Appello: "Sette anni di calvario e oggi scopriamo che questa vicenda, per la quale mi sono dimesso da ministro della Sanità e costata la corsa per la Regione Lazio, non sussiste", dice. "Questa storia all'epoca venne definita uno scandalo. Alla luce di tutto ciò posso affermare che comunque non sono riusciti a togliermi la dignità", ha dichiarato ancora l'ex ministro.
Le reazioni- "Ho appreso con particolare soddisfazione la notizia dell'assoluzione di Francesco Storace nell'ambito del processo Laziogate. Finalmente, dopo ben sette anni, viene fatta chiarezza su questa vicenda e viene dimostrata l'assoluta inconsistenza delle accuse. A Francesco voglio rinnovare le mie felicitazioni” ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.
Soddisfatta della decisione anche il presidente dimissionario della Regione Lazio, Renata Polverini, che commenta così: "L'assoluzione di Francesco Storace è davvero una bella notizia. Una decisione che accogliamo con grande soddisfazione e arriva, dimostrando che il fatto non sussiste, dopo sette lunghi anni che Francesco ha vissuto, difendendosi durante tutto il processo, senza rinunciare al proprio impegno politico, portato avanti con la passione e la determinazione di sempre. A lui vanno le nostre congratulazioni”.
Michela Magrini (Articolo Originale - Fonte Corriere Informazioni)
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E’ stato assolto perché il fatto non sussiste l'ex presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, attualmente leader de La Destra. E’ quanto ha deciso la Corte di Appello di Roma nell'ambito dell’inchiesta cosiddetta Laziogate, ribaltando completamente la precedente sentenza. Nel 2005 fu accusato di associazione a delinquere, spionaggio e violazione dell’anagrafe del comune di Roma. In primo grado Storace era stato infatti condannato a un anno e sei mesi di reclusione per concorso in accesso abusivo a un sistema informatico.
Più nel dettaglio, la vicenda si riferisce a un'incursione nella banca dati dell'anagrafe del Comune di Roma per attività di spionaggio ai danni del movimento "Alternativa Sociale", guidato da Alessandra Mussolini, che si era presentato nel 2005 alle elezioni regionali.
Sono cadute le accuse anche nei confronti del suo ex portavoce Nicolò Accame, che in primo grado aveva avuto 2 anni. Assolti Mirko Maceri, ex direttore di Laziomatica e l'avvocato Romolo Reboa (che presentò l'esposto a suo tempo contro Alternativa sociale), Nicola Santoro, figlio del magistrato della commissione elettorale presso la corte d'appello di Roma (che escluse AS dalle elezioni). Avevano avuto un anno. Cadute le contestazioni anche per l'allora vicepresidente del consiglio comunale per An, Vincenzo Piso (per cui anche in primo grado la Procura aveva chiesto l'assoluzione). Unica condannata, Tiziana Perreca, ex collaboratrice dello staff di Storace, che ha avuto 6 mesi per favoreggiamento. Confermata l'assoluzione di Daniele Caliciotti, l'ex dipendente di Laziomatica (nei suoi confronti non era stata appellata la sentenza).
Il commento di Storace- E’ visibilmente commosso Francesco Storace quando commenta la decisione della Corte d’Appello: "Sette anni di calvario e oggi scopriamo che questa vicenda, per la quale mi sono dimesso da ministro della Sanità e costata la corsa per la Regione Lazio, non sussiste", dice. "Questa storia all'epoca venne definita uno scandalo. Alla luce di tutto ciò posso affermare che comunque non sono riusciti a togliermi la dignità", ha dichiarato ancora l'ex ministro.
Le reazioni- "Ho appreso con particolare soddisfazione la notizia dell'assoluzione di Francesco Storace nell'ambito del processo Laziogate. Finalmente, dopo ben sette anni, viene fatta chiarezza su questa vicenda e viene dimostrata l'assoluta inconsistenza delle accuse. A Francesco voglio rinnovare le mie felicitazioni” ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.
Soddisfatta della decisione anche il presidente dimissionario della Regione Lazio, Renata Polverini, che commenta così: "L'assoluzione di Francesco Storace è davvero una bella notizia. Una decisione che accogliamo con grande soddisfazione e arriva, dimostrando che il fatto non sussiste, dopo sette lunghi anni che Francesco ha vissuto, difendendosi durante tutto il processo, senza rinunciare al proprio impegno politico, portato avanti con la passione e la determinazione di sempre. A lui vanno le nostre congratulazioni”.
Michela Magrini (Articolo Originale - Fonte Corriere Informazioni)
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La giustizia italiana è tra le più arretrate d'Europa. Lo dice uno studio del CNR
di Filippo Benedetti Valentini
La vera risorsa non sta nei fondi, ma nella collaborazione fra diversi organi di giustizia. Questo è quanto emerge da uno studio effettuato dall’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irsig-Cnr) in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche sull’Ordinamento Giudiziario dell’Università di Bologna. Una ricerca che è stata condotta per mettere a confronto i sistemi giudiziari europei con quello italiano per valutare e promuovere la qualità della giustizia nel nostro paese, analizzando da un lato le riforme applicate nei vari paesi europei, dall’altro il modo in cui i magistrati italiani vedono queste riforme.
E’ emerso che l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, il mediocre trattamento subito dai cittadini spesso costretti a lunghe e snervanti attese nei corridoi dei tribunali, la scarsa fiducia di cui gode l’amministrazione della giustizia, sono solo alcuni dei problemi di cui soffre il sistema italiano. Questi problemi, tuttavia, non hanno caratterizzato solo l’Italia e possono essere affrontati anche senza stanziare maggiori finanziamenti. Una più efficiente gestione degli uffici, una migliore distribuzione delle risorse, un incremento delle performance dei magistrati e una maggiore attenzione alla soddisfazione dei cittadini sono, stando alla ricerca dell’ Irsig-Cnr, gli ingredienti di un sistema giudiziario più efficiente e veloce.
QUI L'ARTICOLO COMPLETO !
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La vera risorsa non sta nei fondi, ma nella collaborazione fra diversi organi di giustizia. Questo è quanto emerge da uno studio effettuato dall’Istituto di Ricerca sui Sistemi Giudiziari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irsig-Cnr) in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche sull’Ordinamento Giudiziario dell’Università di Bologna. Una ricerca che è stata condotta per mettere a confronto i sistemi giudiziari europei con quello italiano per valutare e promuovere la qualità della giustizia nel nostro paese, analizzando da un lato le riforme applicate nei vari paesi europei, dall’altro il modo in cui i magistrati italiani vedono queste riforme.
E’ emerso che l’eccessiva durata dei procedimenti giudiziari, il mediocre trattamento subito dai cittadini spesso costretti a lunghe e snervanti attese nei corridoi dei tribunali, la scarsa fiducia di cui gode l’amministrazione della giustizia, sono solo alcuni dei problemi di cui soffre il sistema italiano. Questi problemi, tuttavia, non hanno caratterizzato solo l’Italia e possono essere affrontati anche senza stanziare maggiori finanziamenti. Una più efficiente gestione degli uffici, una migliore distribuzione delle risorse, un incremento delle performance dei magistrati e una maggiore attenzione alla soddisfazione dei cittadini sono, stando alla ricerca dell’ Irsig-Cnr, gli ingredienti di un sistema giudiziario più efficiente e veloce.
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Ultime follie dai tribunali: condanne senza processo
La casta delle toghe. Vita, opere e disastri degli «intoccabili». E più in generale, dell’intero sistema giudiziario nazionale. Il libro «La palude» scritto da Massimo Martinelli (edizione Gremese) è una spietata radiografia sugli sprechi, le assurdità e gli interessi «molto» particolari che paralizzano la giustizia italiana.
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Ecco la sentenza: la riforma Fornero è inutile.
"Articolo 18, cantiere (traballante) e sempre aperto. Il reintegro di un operaio di Bologna, che si era permesso di criticare via mail l’organizzazione del lavoro, accende un faro sugli effetti di una riforma annunciata, sofferta, elaborata, discussa, difesa e criticata per mesi.
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Berlusconi Condannato !
La Bilancia Pende! |
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Corte Costituzionale: bocciata la mediazione obbligatoria
(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Roma, 24 ott - La mediazione civile e commerciale, prevista dal provvedimento che attua la riforma del processo civile, punta alla ricerca di un accordo amichevole o a una proposta per la soluzione di una controversia con l'obiettivo di alleggerire il sistema giudiziario nello smaltimento degli arretrati evitando anche il rischio di accumulare nuovi ritardi. Il decreto legislativo del 2010 prevede l'istituto della mediazione obbligatoria nelle controversi di: condominio; diritti reali; divisione; successioni ereditarie; patti di famiglia; locazione; comodato; affitto di azienda; risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti; risarcimento del danno derivante da responsabilita' medica; risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o altro mezzo di pubblicita'; contratti assicurativi, bancari e finanziari.
Tri
(RADIOCOR) 24-10-12 12:36:30 (0227)PA 5 NNNN
Sconvolgente Intervista al Giudice Edoardo Mori
QUESTA LA DOVREBBERO LEGGERE TUTTI I CITTADINI ITALIANI
Questa sconvolgente intervista ce l’ha fatta Pasquale De Feo.
E’ un clamoroso atto di denuncia del sistema giudiziario italiano, fatto da chi -Edoardo Mori, magistrato lo è stato -in modo instancabile e apprezzatissimo- per 42 anni.
Magistrati, alzatevi! Stavolta gli imputati siete voi e a processarvi è un vostro collega, il giudice Edoardo Mori. Che un anno fa, come in questi giorni, decise di strapparsi di dosso la toga, disgustato dall'impreparazione e dalla faziosità regnanti nei palazzi di giustizia. «Sarei potuto rimanere fino al 2014, ma non ce la facevo più a reggere l’idiozia delle nuove leve che sui giornali e nei tiggi incarnano il volto della magistratura. Meglio la pensione».
Per 42 anni il giudice Mori ha servito lo Stato tutti i santi i giorni, mai un’assenza, a parte la settimana in cui il figlioletto Daniele gli attaccò il morbillo; prima per otto anni pretore a Chiavenna, in Valtellina, e poi dal 1977 giudice istruttore, giudice per le indagini preliminari, giudice fallimentare (il più rapido d’Italia, attesta il ministero della Giustizia), nonché presidente del Tribunale della libertà, a Bolzano, dov’è stato protagonista dei processi contro i terroristi sudtirolesi, ha giudicato efferati serial killer come Marco Bergamo (cinque prostitute sgozzate a coltellate), s’è occupato d’ogni aspetto giurisprudenziale a esclusione solo del diritto di famiglia e del lavoro.
Con un’imparzialità e una competenza che gli vengono riconosciute persino dai suoi nemici. Ovviamente se n’è fatti parecchi, esattamente come suo padre Giovanni, che da podestà di Zeri, in Lunigiana, nel 1939 mandò a farsi friggere Benito Mussolini, divenne antifascista e ospitò per sei mesi in casa propria i soldati inglesi venuti a liberare l’Italia.
Mori confessa d’aver tirato un sospirone di sollievo il giorno in cui s’è dimesso: «Il sistema di polizia, il trattamento dell’imputato e il rapporto fra pubblici ministeri e giudice sono ancora fermi al 1930. Le forze dell’ordine considerano delinquenti tutti gli indagati, i cittadini sono trattati alla stregua di pezze da piedi, spesso gli interrogatori degenerano in violenza. Il Pm gioca a fare il commissario e non si preoccupa di garantire i diritti dell’inquisito. E il Gip pensa che sia suo dovere sostenere l’azione del Pm».
Da sempre studioso di criminologia e scienze forensi, il dottor Mori è probabilmente uno dei rari magistrati che già prima di arrivare all’università si erano sciroppati il Trattato di polizia scientifica di Salvatore Ottoleghi (1910) e il Manuale del giudice istruttore di Hans Gross (1908). Le poche lire di paghetta le investiva in esperimenti su come evidenziare le impronte digitali utilizzando i vapori di iodio. Non c’è attività d’indagine (sopralluoghi, interrogatori, perizie, autopsie, Dna, rilievi dattiloscopici, balistica) che sfugga alle conoscenze scientifiche dell’ex giudice, autore di una miriade di pubblicazioni, fra cui il Dizionario multilingue delle armi, il Codice delle armi e degli esplosivi e il Dizionario dei termini giuridici e dei brocardi latini che vengono consultati da polizia, carabinieri e avvocati come se fossero tre dei 73 libri della Bibbia.
Nato a Milano nel 1940, nel corso della sua lunga carriera Mori ha firmato almeno 80.000 fra sentenze e provvedimenti, avendo la soddisfazione di vederne riformati nei successivi gradi di giudizio non più del 5 per cento, un’inezia rispetto alla media, per cui gli si potrebbe ben adattare la frase latina che Sant’Agostino nei suoi Sermones riferiva alle questioni sottoposte al vaglio della curia romana o dello stesso pontefice: «Roma locuta, causa finita». Il dato statistico può essere riportato solo perché Mori è uno dei pochi, o forse l’unico in Italia, che ha sempre avuto la tigna di controllare periodicamente com’erano andati a finire i casi passati per le sue mani: «Di norma ai giudici non viene neppure comunicato se le loro sentenze sono state confermate o meno. Un giudice può sbagliare per tutta la vita e nessuno gli dice nulla. La corporazione è stata di un’abilità diabolica nel suddividere le eventuali colpe in tre gradi di giudizio. Risultato: deresponsabilizzazione totale. Il giudice di primo grado non si sente sicuro? Fa niente, condanna lo stesso, tanto – ragiona – provvederà semmai il collega in secondo grado a metterci una pezza. In effetti i giudici d’appello un tempo erano eccellenti per prudenza e preparazione, proprio perché dovevano porre rimedio alle bischerate commesse in primo grado dai magistrati inesperti. Ma oggi basta aver compiuto 40 anni per essere assegnati alla Corte d’appello. Non parliamo della Cassazione: leggo sentenze scritte da analfabeti».
Soprattutto, se il giudice sbaglia, non paga mai. «La categoria s’è autoapplicata la regola che viene attribuita all’imputato Stefano Ricucci: “È facile fare il frocio col sedere degli altri”. Le risulta che il Consiglio superiore della magistratura abbia mai condannato i giudici che distrussero Enzo Tortora? E non parliamo delle centinaia di casi, sconosciuti ai più, conclusi per l’inadeguatezza delle toghe con un errore giudiziario mai riparato: un innocente condannato o un colpevole assolto. In compenso il Csm è sempre solerte a bastonare chi si arrischia a denunciare le manchevolezze delle Procure».
Il dottor Mori parla con cognizione di causa: ha dovuto subire ben sei provvedimenti disciplinari e tutti per aver criticato l’operato di colleghi arruffoni e incapaci. «Dopo aver letto una relazione scritta per un pubblico ministero pugliese, con la quale il perito avrebbe fatto condannare un innocente sulla base di rivoltanti castronerie, mi permisi di scrivere al procuratore capo, avvertendolo che quel consulente stava per esporlo a una gran brutta figura. Ebbene, l’emerita testa mi segnalò per un procedimento disciplinare con l’accusa d’aver “cercato di influenzarlo” e un’altra emerita testa mi rinviò a giudizio. Ogni volta che ho segnalato mostruosità tecniche contenute nelle sentenze, mi sono dovuto poi giustificare di fronte al Csm. E ogni volta l’organo di autogoverno della magistratura è stato costretto a prosciogliermi. Forse mi ha inflitto una censura solo nel sesto caso, per aver offuscato l’immagine della giustizia segnalando che un incolpevole cittadino era stato condannato a Napoli. Ma non potrei essere più preciso al riguardo, perché, quando m’è arrivata l’ultima raccomandata dal Palazzo dei Marescialli, l’ho stracciata senza neppure aprirla. Delle decisioni dei supremi colleghi non me ne fregava più nulla».
–Perché ha fatto il magistrato?
«Per laurearmi in fretta, visto che in casa non c’era da scialare. Fin da bambino me la cavavo un po’ in tutto, perciò mi sarei potuto dedicare a qualsiasi altra cosa: chimica, scienze naturali e forestali, matematica, lingue antiche. Già da pretore mi documentavo sui testi forensi tedeschi e statunitensi e applicavo regole che nessuno capiva. Be’, no, a dire il vero uno che le capiva c’era: Giovanni Falcone».
–Il magistrato trucidato con la moglie e la scorta a Capaci.
«Mi portò al Csm a parlare di armi e balistica. Ma poi non fui più richiamato perché osai spiegare che molti dei periti che i tribunali usavano come oracoli non erano altro che ciarlatani. Ciononostante questi asini hanno continuato a istruire i giovani magistrati e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma guai a parlar male dei periti ai Pm: ti spianano. Pensi che uno di loro, utilizzato anche da un’università romana, è riuscito a trovare in un residuo di sparo tracce di promezio, elemento chimico non noto in natura, individuato solo al di fuori del sistema solare e prodotto in laboratorio per decadimento atomico in non più di 10 grammi».
–Per quale motivo i pubblici ministeri scambiano i periti per oracoli?
«Ma è evidente! Perché ».
–Ci sarà ben un organo che vigila sull’operato dei periti.
«Nient’affatto, in Italia manca totalmente un sistema di controllo. Quando entrai in magistratura, nel 1968, era in auge un perito che disponeva di un’unica referenza: aver recuperato un microscopio abbandonato dai nazisti in fuga durante la seconda guerra mondiale. Per ottenere l’inserimento nell’albo dei periti presso il tribunale basta essere iscritti a un ordine professionale. Per chi non ha titoli c’è sempre la possibilità di diventare perito estimatore, manco fossimo al Monte di pietà. Ci sono marescialli della Guardia di finanza che, una volta in pensione, ottengono dalla Camera di commercio il titolo di periti fiscali e con quello vanno a far danni nelle aule di giustizia».
–Sono sconcertato.
«Anche lei può diventare perito: deve solo trovare un amico giudice che la nomini. I tribunali rigurgitano di tuttologi, i quali si vantano di potersi esprimere su qualsiasi materia, dalla grafologia alla dattiloscopia. Spesso non hanno neppure una laurea. Nel mondo anglosassone vi è una tale preoccupazione per la salvaguardia dei diritti dell’imputato che, se in un processo si scopre che un perito ha commesso un errore, scatta il controllo d’ufficio su tutte le sue perizie precedenti, fino a procedere all’eventuale revisione dei processi. In Italia periti che hanno preso cantonate clamorose continuano a essere chiamati da Pm recidivi e imperterriti, come se nulla fosse accaduto».
–Può fare qualche caso concreto?
«Negli accertamenti sull’attentato a Falcone vennero ricostruiti in un poligono di tiro – con costi miliardari, parlo di lire – i 300 metri dell’autostrada di Capaci fatta saltare in aria da Cosa nostra, per scoprire ciò che un esperto già avrebbe potuto dire a vista con buona approssimazione e cioè il quantitativo di esplosivo usato. È chiaro che ai fini processuali poco importava che fossero 500 o 1.000 chili. Molto più interessante sarebbe stato individuare il tipo di esplosivo. Dopo aver costruito il tratto sperimentale di autostrada, ci si accorse che un manufatto recente aveva un comportamento del tutto diverso rispetto a un manufatto costruito oltre vent’anni prima. Conclusione: quattrini gettati al vento. Nel caso dell’aereo Itavia, inabissatosi vicino a Ustica nel 1980, gli esami chimici volti a ricercare tracce di esplosivi su reperti ripescati a una profondità di circa 3.500 metri vennero affidati a chimici dell’Università di Napoli, i quali in udienza dichiararono che tali analisi esulavano dalle loro competenze. Però in precedenza avevano riferito di aver trovato tracce di T4 e di Tnt in un sedile dell’aereo e questa perizia ebbe a influenzare tutte le successive pasticciate indagini, orientate a dimostrare che su quel volo era scoppiata una bomba. Vuole un altro esempio di imbecillità esplosiva?».
–Prego. Sono rassegnato a tutto.
«Per anni fior di magistrati hanno cercato di farci credere che il plastico impiegato nei più sanguinosi attentati attribuiti all’estrema destra, dal treno Italicus nel 1974 al rapido 904 nel 1984, era stato recuperato dal lago di Garda, precisamente da un’isoletta, Trimelone, davanti al litorale fra Malcesine e Torri del Benaco, militarizzata fin dal 1909 e adibita a santabarbara dai nazisti. Al processo per la strage di Bologna l’accusa finì nel ridicolo perché nessuno dei periti s’avvide che uno degli esplosivi, asseritamente contenuti nella valigia che provocò l’esplosione e che pareva fosse stato ripescato nel Benaco dai terroristi, era in realtà contenuto solo nei razzi del bazooka M20 da 88 millimetri di fabbricazione statunitense, entrato in servizio nel 1948. Un po’ dura dimostrare che lo avessero già i tedeschi nel 1945».
–Ormai non ci si può più fidare neppure dell’esame del Dna, basti vedere la magra figura rimediata dagli inquirenti nel processo d’appello di Perugia per l’omicidio di Meredith Kercher.
«Si dice che questo esame presenti una probabilità d’errore su un miliardo. Falso. Da una ricerca svolta su un database dell’Arizona, contenente 65.000 campioni di Dna, sono saltate fuori ben 143 corrispondenze. Comunque era sufficiente vedere i filmati in cui uno degli investigatori sventolava trionfante il reggiseno della povera vittima per capire che sulla scena del delitto era intervenuta la famigerata squadra distruzione prove. A dimostrazione delle cautele usate, il poliziotto indossava i guanti di lattice. Restai sbigottito vedendo la scena al telegiornale. I guanti servono per non contaminare l’ambiente col Dna dell’operatore, ma non per manipolare una possibile prova, perché dopo due secondi che si usano sono già inquinati. Bisogna invece raccogliere ciascun reperto con una pinzetta sterile e monouso. I guanti non fanno altro che trasportare Dna presenti nell’ambiente dal primo reperto manipolato ai reperti successivi. E infatti adesso salta fuori che sul gancetto del reggipetto c’era il Dna anche della dottoressa Carla Vecchiotti, una delle perite che avrebbero dovuto isolare con certezza le eventuali impronte genetiche di Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Non è andata meglio a Cogne».
–Cioè?
«In altri tempi l’indagine sulla tragica fine del piccolo Samuele Lorenzi sarebbe stata chiusa in mezza giornata. Gli infiniti sopralluoghi hanno solo dimostrato che quelli precedenti non erano stati esaustivi. Il sopralluogo è un passaggio delicatissimo, che non consente errori. Gli accessi alla scena del delitto devono essere ripetuti il meno possibile perché ogni volta che una persona entra in un ambiente introduce qualche cosa e porta via altre cose. Ma il colmo dell’ignominia è stato toccato nel caso Marta Russo».
–Si riferisce alle prove balistiche sul proiettile che uccise la studentessa nel cortile dell’Università La Sapienza di Roma?
«E non solo. S’è preteso di ricostruire la traiettoria della pallottola avendo a disposizione soltanto il foro d’ingresso del proiettile su un cranio che era in movimento e che quindi poteva rivolgersi in infinite direzioni. In tempi meno bui, sui libri di geometria del ginnasio non si studiava che per un punto passano infinite rette? Dopodiché sono andati a grattare il davanzale da cui sarebbe partito il colpo e hanno annunciato trionfanti: residui di polvere da sparo, ecco la prova! Peccato che si trattasse invece di una particella di ferodo per freni, di cui l’aria della capitale pullula a causa del traffico. La segretaria Gabriella Alletto è stata interrogata 13 volte con metodi polizieschi per farle confessare d’aver visto in quell’aula gli assistenti Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Uno che si comporta così, se non è un pubblico ministero, viene indagato per violenza privata. Un Pm non può usare tecniche da commissario di pubblica sicurezza, anche se era il metodo usato da Antonio Di Pietro, che infatti è un ex poliziotto».
–Un sistema che ha fatto scuola.
«La galera come mezzo di pressione sui sospettati per estorcere confessioni. Le manette sono diventate un moderno strumento di tortura per acquisire prove che mancano e per costringere a parlare chi, per legge, avrebbe invece diritto a tacere».
–Che cosa pensa delle intercettazioni telefoniche che finiscono sui giornali?
«Non serve una nuova legge per vietare la barbarie della loro indebita pubblicazione. Quella esistente è perfetta, perché ordina ai Pm di scremare le intercettazioni utili all’indagine e di distruggere le altre. Tutto ciò che non riguarda l’indagato va coperto da omissis in fase di trascrizione. Nessuno lo fa: troppa fatica. Ci vorrebbe una sanzione penale per i Pm. Ma cane non mangia cane, almeno in Italia. In Germania, invece, esiste uno specifico reato. Rechtsverdrehung, si chiama. È lo stravolgimento del diritto da parte del giudice».
–Come mai la giustizia s’è ridotta così?
«Perché, anziché cercare la prova logica, preferisce le tesi fantasiose, precostituite. Le statistiche dimostrano invece che nella quasi totalità dei casi un delitto è banale e che è assurdo andare in cerca di soluzioni da romanzo giallo. Lei ricorderà senz’altro il rasoio di Occam, dal nome del filosofo medievale Guglielmo di Occam».
–In un ragionamento tagliare tutto ciò che è inutile.
«Appunto. Le regole logiche da allora non sono cambiate. Non vi è alcun motivo per complicare ciò che è semplice. Il “cui prodest?” è risolutivo nel 50 per cento dei delitti. Chi aveva interesse a uccidere? O è stato il marito, o è stata la moglie, o è stato l’amante, o è stato il maggiordomo, vedi assassinio dell’Olgiata, confessato dopo 20 anni dal cameriere filippino Manuel Winston. Poi servono i riscontri, ovvio. In molti casi la risposta più banale è che proprio non si può sapere chi sia l’autore di un crimine. Quindi è insensato volerlo trovare per forza schiaffando in prigione i sospettati».
–Ma perché si commettono tanti errori nelle indagini?
«I giudici si affidano ai laboratori istituzionali e ne accettano in modo acritico i responsi. Nei rari casi in cui l’indagato può pagarsi un avvocato e un buon perito, l’esperienza dimostra che l’accertamento iniziale era sbagliato. I medici i loro errori li nascondono sottoterra, i giudici in galera. Paradigmatico resta il caso di Ettore Grandi, diplomatico in Thailandia, accusato nel 1938 d’aver ucciso la moglie che invece si era suicidata. Venne assolto nel 1951 dopo anni di galera e ben 18 perizie medico-legali inconcludenti».
–E si ritorna alla conclamata inettitudine dei periti.
«L’indagato innocente avrebbe più vantaggi dall’essere giudicato in base al lancio di una monetina che in base a delle perizie. E le risparmio l’aneddotica sulla voracità dei periti».
–No, no, non mi risparmi nulla.
«Vengono pagati per ogni singolo elemento esaminato. Ho visto un colonnello, incaricato di dire se 5.000 cartucce nuove fossero ancora utilizzabili dopo essere rimaste in un ambiente umido, considerare ognuna delle munizioni un reperto e chiedere 7.000 euro di compenso, che il Pm gli ha liquidato: non poteva spararne un caricatore? Ho visto un perito incaricato di accertare se mezzo container di kalashnikov nuovi, ancora imballati nella scatola di fabbrica, fossero proprio kalashnikov. I 700-800 fucili mitragliatori sono stati computati come altrettanti reperti. Parcella da centinaia di migliaia di euro. Per fortuna è stata bloccata prima del pagamento».
–In che modo se ne esce?
«Nel Regno Unito vi è il Forensic sciences service, soggetto a controllo parlamentare, che raccoglie i maggiori esperti in ogni settore e fornisce inoltre assistenza scientifica a oltre 60 Stati esteri. Rivolgiamoci a quello. Dispone di sette laboratori e impiega 2.500 persone, 1.600 delle quali sono scienziati di riconosciuta autorità a livello mondiale».
–E per le altre magagne?
«In Italia non esiste un testo che insegni come si conduce un interrogatorio. La regola fondamentale è che chi interroga non ponga mai domande che anticipino le risposte o che lascino intendere ciò che è noto al pubblico ministero o che forniscano all’arrestato dettagli sulle indagini. Guai se il magistrato fa una domanda lunga a cui l’inquisito deve rispondere con un sì o con un no. Una palese violazione di questa regola elementare s’è vista nel caso del delitto di Avetrana. Il primo interrogatorio di Michele Misseri non ha consentito di accertare un fico secco perché il Pm parlava molto più dello zio di Sarah Scazzi: bastava ascoltare gli scampoli di conversazione incredibilmente messi in onda dai telegiornali. Ci sarebbe molto da dire anche sulle autopsie».
–Ci provi.
«È ormai routine leggere che dopo un’autopsia ne viene disposta una seconda, e poi una terza, quando non si riesumano addirittura le salme sepolte da anni. Ciò dimostra solamente che il primo medico legale non era all’altezza. Io andavo di persona ad assistere agli esami autoptici, spesso ho dovuto tenere ferma la testa del morto mentre l’anatomopatologo eseguiva la craniotomia. Oggi ci sono Pm che non hanno mai visto un cadavere in vita loro».
–Ma in mezzo a questo mare di fanghiglia, lei com’è riuscito a fare il giudice per 42 anni, scusi?
«Mi consideri un pentito. E un corresponsabile. Anch’io ho abusato della carcerazione preventiva, ma l’ho fatto, se mai può essere un’attenuante, solo con i pregiudicati, mai con un cittadino perbene che rischiava di essere rovinato per sempre. Mi autoassolvo perché ho sempre lavorato per quattro. Almeno questo, tutti hanno dovuto riconoscerlo».
–Non è stato roso dal dubbio d’aver condannato un innocente?
«Una volta sì. Mi ero convinto che un impiegato delle Poste avesse fatto da basista in una rapina. Mi fidai troppo degli investigatori e lo tenni dentro per quattro-cinque mesi. Fu prosciolto dal tribunale».
–Gli chiese scusa?
«Non lo rividi più, sennò l’avrei fatto. Lo faccio adesso. Ma forse è già morto».
Intervistato sul Corriere della Sera da Indro Montanelli nel 1959, il giorno dopo essere andato in pensione, il presidente della Corte d’appello di Milano, Manlio Borrelli, padre dell’ex procuratore di Mani pulite, osservò che «in uno Stato bene ordinato, un giudice dovrebbe, in tutta la sua carriera e impegnandovi l’intera esistenza, studiare una causa sola e, dopo trenta o quarant’anni, concluderla con una dichiarazione d’incompetenza».
«In Germania o in Francia non si parla mai di giustizia. Sa perché? Perché funziona bene. I magistrati sono oscuri funzionari dello Stato. Non fanno né gli eroi né gli agitatori di popolo. Nessuno conosce i loro nomi, nessuno li ha mai visti in faccia».
Si dice che il giudice non dev’essere solo imparziale: deve anche apparirlo. Si farebbe processare da un suo collega che arriva in tribunale con Il Fatto Quotidiano sotto braccio? Cito questa testata perché di trovarne uno che legga Il Giornale non m’è mai capitato.
«Ho smesso d’andare ai convegni di magistrati da quando, su 100 partecipanti, 80 si presentavano con La Repubblica e parlavano solo di politica. Tutti espertissimi di trame, nomine e carriere, tranne che di diritto».
–Quanti sono i giudici italiani dai quali si lascerebbe processare serenamente?
«Non più del 20 per cento. Il che collima con le leggi sociologiche secondo cui gli incapaci rappresentano almeno l’80 per cento dell’umanità, come documenta Gianfranco Livraghi nel suo saggio Il potere della stupidità».
–Perché ha aspettato il collocamento a riposo per denunciare tutto questo?
«A dire il vero l’ho sempre denunciato, fin dal 1970. Solo che potevo pubblicare i miei articoli unicamente sul mensile Diana Armi. Ha chiuso otto mesi fa».
LE URLA DAL SILENZIO
http://urladalsilenzio.wordpress.com/tag/intervista-edoardo-mori/ - con Alfredo Cosco
IL VOSTRO UFFICIO STAMPA
Questa sconvolgente intervista ce l’ha fatta Pasquale De Feo.
E’ un clamoroso atto di denuncia del sistema giudiziario italiano, fatto da chi -Edoardo Mori, magistrato lo è stato -in modo instancabile e apprezzatissimo- per 42 anni.
Magistrati, alzatevi! Stavolta gli imputati siete voi e a processarvi è un vostro collega, il giudice Edoardo Mori. Che un anno fa, come in questi giorni, decise di strapparsi di dosso la toga, disgustato dall'impreparazione e dalla faziosità regnanti nei palazzi di giustizia. «Sarei potuto rimanere fino al 2014, ma non ce la facevo più a reggere l’idiozia delle nuove leve che sui giornali e nei tiggi incarnano il volto della magistratura. Meglio la pensione».
Per 42 anni il giudice Mori ha servito lo Stato tutti i santi i giorni, mai un’assenza, a parte la settimana in cui il figlioletto Daniele gli attaccò il morbillo; prima per otto anni pretore a Chiavenna, in Valtellina, e poi dal 1977 giudice istruttore, giudice per le indagini preliminari, giudice fallimentare (il più rapido d’Italia, attesta il ministero della Giustizia), nonché presidente del Tribunale della libertà, a Bolzano, dov’è stato protagonista dei processi contro i terroristi sudtirolesi, ha giudicato efferati serial killer come Marco Bergamo (cinque prostitute sgozzate a coltellate), s’è occupato d’ogni aspetto giurisprudenziale a esclusione solo del diritto di famiglia e del lavoro.
Con un’imparzialità e una competenza che gli vengono riconosciute persino dai suoi nemici. Ovviamente se n’è fatti parecchi, esattamente come suo padre Giovanni, che da podestà di Zeri, in Lunigiana, nel 1939 mandò a farsi friggere Benito Mussolini, divenne antifascista e ospitò per sei mesi in casa propria i soldati inglesi venuti a liberare l’Italia.
Mori confessa d’aver tirato un sospirone di sollievo il giorno in cui s’è dimesso: «Il sistema di polizia, il trattamento dell’imputato e il rapporto fra pubblici ministeri e giudice sono ancora fermi al 1930. Le forze dell’ordine considerano delinquenti tutti gli indagati, i cittadini sono trattati alla stregua di pezze da piedi, spesso gli interrogatori degenerano in violenza. Il Pm gioca a fare il commissario e non si preoccupa di garantire i diritti dell’inquisito. E il Gip pensa che sia suo dovere sostenere l’azione del Pm».
Da sempre studioso di criminologia e scienze forensi, il dottor Mori è probabilmente uno dei rari magistrati che già prima di arrivare all’università si erano sciroppati il Trattato di polizia scientifica di Salvatore Ottoleghi (1910) e il Manuale del giudice istruttore di Hans Gross (1908). Le poche lire di paghetta le investiva in esperimenti su come evidenziare le impronte digitali utilizzando i vapori di iodio. Non c’è attività d’indagine (sopralluoghi, interrogatori, perizie, autopsie, Dna, rilievi dattiloscopici, balistica) che sfugga alle conoscenze scientifiche dell’ex giudice, autore di una miriade di pubblicazioni, fra cui il Dizionario multilingue delle armi, il Codice delle armi e degli esplosivi e il Dizionario dei termini giuridici e dei brocardi latini che vengono consultati da polizia, carabinieri e avvocati come se fossero tre dei 73 libri della Bibbia.
Nato a Milano nel 1940, nel corso della sua lunga carriera Mori ha firmato almeno 80.000 fra sentenze e provvedimenti, avendo la soddisfazione di vederne riformati nei successivi gradi di giudizio non più del 5 per cento, un’inezia rispetto alla media, per cui gli si potrebbe ben adattare la frase latina che Sant’Agostino nei suoi Sermones riferiva alle questioni sottoposte al vaglio della curia romana o dello stesso pontefice: «Roma locuta, causa finita». Il dato statistico può essere riportato solo perché Mori è uno dei pochi, o forse l’unico in Italia, che ha sempre avuto la tigna di controllare periodicamente com’erano andati a finire i casi passati per le sue mani: «Di norma ai giudici non viene neppure comunicato se le loro sentenze sono state confermate o meno. Un giudice può sbagliare per tutta la vita e nessuno gli dice nulla. La corporazione è stata di un’abilità diabolica nel suddividere le eventuali colpe in tre gradi di giudizio. Risultato: deresponsabilizzazione totale. Il giudice di primo grado non si sente sicuro? Fa niente, condanna lo stesso, tanto – ragiona – provvederà semmai il collega in secondo grado a metterci una pezza. In effetti i giudici d’appello un tempo erano eccellenti per prudenza e preparazione, proprio perché dovevano porre rimedio alle bischerate commesse in primo grado dai magistrati inesperti. Ma oggi basta aver compiuto 40 anni per essere assegnati alla Corte d’appello. Non parliamo della Cassazione: leggo sentenze scritte da analfabeti».
Soprattutto, se il giudice sbaglia, non paga mai. «La categoria s’è autoapplicata la regola che viene attribuita all’imputato Stefano Ricucci: “È facile fare il frocio col sedere degli altri”. Le risulta che il Consiglio superiore della magistratura abbia mai condannato i giudici che distrussero Enzo Tortora? E non parliamo delle centinaia di casi, sconosciuti ai più, conclusi per l’inadeguatezza delle toghe con un errore giudiziario mai riparato: un innocente condannato o un colpevole assolto. In compenso il Csm è sempre solerte a bastonare chi si arrischia a denunciare le manchevolezze delle Procure».
Il dottor Mori parla con cognizione di causa: ha dovuto subire ben sei provvedimenti disciplinari e tutti per aver criticato l’operato di colleghi arruffoni e incapaci. «Dopo aver letto una relazione scritta per un pubblico ministero pugliese, con la quale il perito avrebbe fatto condannare un innocente sulla base di rivoltanti castronerie, mi permisi di scrivere al procuratore capo, avvertendolo che quel consulente stava per esporlo a una gran brutta figura. Ebbene, l’emerita testa mi segnalò per un procedimento disciplinare con l’accusa d’aver “cercato di influenzarlo” e un’altra emerita testa mi rinviò a giudizio. Ogni volta che ho segnalato mostruosità tecniche contenute nelle sentenze, mi sono dovuto poi giustificare di fronte al Csm. E ogni volta l’organo di autogoverno della magistratura è stato costretto a prosciogliermi. Forse mi ha inflitto una censura solo nel sesto caso, per aver offuscato l’immagine della giustizia segnalando che un incolpevole cittadino era stato condannato a Napoli. Ma non potrei essere più preciso al riguardo, perché, quando m’è arrivata l’ultima raccomandata dal Palazzo dei Marescialli, l’ho stracciata senza neppure aprirla. Delle decisioni dei supremi colleghi non me ne fregava più nulla».
–Perché ha fatto il magistrato?
«Per laurearmi in fretta, visto che in casa non c’era da scialare. Fin da bambino me la cavavo un po’ in tutto, perciò mi sarei potuto dedicare a qualsiasi altra cosa: chimica, scienze naturali e forestali, matematica, lingue antiche. Già da pretore mi documentavo sui testi forensi tedeschi e statunitensi e applicavo regole che nessuno capiva. Be’, no, a dire il vero uno che le capiva c’era: Giovanni Falcone».
–Il magistrato trucidato con la moglie e la scorta a Capaci.
«Mi portò al Csm a parlare di armi e balistica. Ma poi non fui più richiamato perché osai spiegare che molti dei periti che i tribunali usavano come oracoli non erano altro che ciarlatani. Ciononostante questi asini hanno continuato a istruire i giovani magistrati e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma guai a parlar male dei periti ai Pm: ti spianano. Pensi che uno di loro, utilizzato anche da un’università romana, è riuscito a trovare in un residuo di sparo tracce di promezio, elemento chimico non noto in natura, individuato solo al di fuori del sistema solare e prodotto in laboratorio per decadimento atomico in non più di 10 grammi».
–Per quale motivo i pubblici ministeri scambiano i periti per oracoli?
«Ma è evidente! Perché ».
–Ci sarà ben un organo che vigila sull’operato dei periti.
«Nient’affatto, in Italia manca totalmente un sistema di controllo. Quando entrai in magistratura, nel 1968, era in auge un perito che disponeva di un’unica referenza: aver recuperato un microscopio abbandonato dai nazisti in fuga durante la seconda guerra mondiale. Per ottenere l’inserimento nell’albo dei periti presso il tribunale basta essere iscritti a un ordine professionale. Per chi non ha titoli c’è sempre la possibilità di diventare perito estimatore, manco fossimo al Monte di pietà. Ci sono marescialli della Guardia di finanza che, una volta in pensione, ottengono dalla Camera di commercio il titolo di periti fiscali e con quello vanno a far danni nelle aule di giustizia».
–Sono sconcertato.
«Anche lei può diventare perito: deve solo trovare un amico giudice che la nomini. I tribunali rigurgitano di tuttologi, i quali si vantano di potersi esprimere su qualsiasi materia, dalla grafologia alla dattiloscopia. Spesso non hanno neppure una laurea. Nel mondo anglosassone vi è una tale preoccupazione per la salvaguardia dei diritti dell’imputato che, se in un processo si scopre che un perito ha commesso un errore, scatta il controllo d’ufficio su tutte le sue perizie precedenti, fino a procedere all’eventuale revisione dei processi. In Italia periti che hanno preso cantonate clamorose continuano a essere chiamati da Pm recidivi e imperterriti, come se nulla fosse accaduto».
–Può fare qualche caso concreto?
«Negli accertamenti sull’attentato a Falcone vennero ricostruiti in un poligono di tiro – con costi miliardari, parlo di lire – i 300 metri dell’autostrada di Capaci fatta saltare in aria da Cosa nostra, per scoprire ciò che un esperto già avrebbe potuto dire a vista con buona approssimazione e cioè il quantitativo di esplosivo usato. È chiaro che ai fini processuali poco importava che fossero 500 o 1.000 chili. Molto più interessante sarebbe stato individuare il tipo di esplosivo. Dopo aver costruito il tratto sperimentale di autostrada, ci si accorse che un manufatto recente aveva un comportamento del tutto diverso rispetto a un manufatto costruito oltre vent’anni prima. Conclusione: quattrini gettati al vento. Nel caso dell’aereo Itavia, inabissatosi vicino a Ustica nel 1980, gli esami chimici volti a ricercare tracce di esplosivi su reperti ripescati a una profondità di circa 3.500 metri vennero affidati a chimici dell’Università di Napoli, i quali in udienza dichiararono che tali analisi esulavano dalle loro competenze. Però in precedenza avevano riferito di aver trovato tracce di T4 e di Tnt in un sedile dell’aereo e questa perizia ebbe a influenzare tutte le successive pasticciate indagini, orientate a dimostrare che su quel volo era scoppiata una bomba. Vuole un altro esempio di imbecillità esplosiva?».
–Prego. Sono rassegnato a tutto.
«Per anni fior di magistrati hanno cercato di farci credere che il plastico impiegato nei più sanguinosi attentati attribuiti all’estrema destra, dal treno Italicus nel 1974 al rapido 904 nel 1984, era stato recuperato dal lago di Garda, precisamente da un’isoletta, Trimelone, davanti al litorale fra Malcesine e Torri del Benaco, militarizzata fin dal 1909 e adibita a santabarbara dai nazisti. Al processo per la strage di Bologna l’accusa finì nel ridicolo perché nessuno dei periti s’avvide che uno degli esplosivi, asseritamente contenuti nella valigia che provocò l’esplosione e che pareva fosse stato ripescato nel Benaco dai terroristi, era in realtà contenuto solo nei razzi del bazooka M20 da 88 millimetri di fabbricazione statunitense, entrato in servizio nel 1948. Un po’ dura dimostrare che lo avessero già i tedeschi nel 1945».
–Ormai non ci si può più fidare neppure dell’esame del Dna, basti vedere la magra figura rimediata dagli inquirenti nel processo d’appello di Perugia per l’omicidio di Meredith Kercher.
«Si dice che questo esame presenti una probabilità d’errore su un miliardo. Falso. Da una ricerca svolta su un database dell’Arizona, contenente 65.000 campioni di Dna, sono saltate fuori ben 143 corrispondenze. Comunque era sufficiente vedere i filmati in cui uno degli investigatori sventolava trionfante il reggiseno della povera vittima per capire che sulla scena del delitto era intervenuta la famigerata squadra distruzione prove. A dimostrazione delle cautele usate, il poliziotto indossava i guanti di lattice. Restai sbigottito vedendo la scena al telegiornale. I guanti servono per non contaminare l’ambiente col Dna dell’operatore, ma non per manipolare una possibile prova, perché dopo due secondi che si usano sono già inquinati. Bisogna invece raccogliere ciascun reperto con una pinzetta sterile e monouso. I guanti non fanno altro che trasportare Dna presenti nell’ambiente dal primo reperto manipolato ai reperti successivi. E infatti adesso salta fuori che sul gancetto del reggipetto c’era il Dna anche della dottoressa Carla Vecchiotti, una delle perite che avrebbero dovuto isolare con certezza le eventuali impronte genetiche di Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Non è andata meglio a Cogne».
–Cioè?
«In altri tempi l’indagine sulla tragica fine del piccolo Samuele Lorenzi sarebbe stata chiusa in mezza giornata. Gli infiniti sopralluoghi hanno solo dimostrato che quelli precedenti non erano stati esaustivi. Il sopralluogo è un passaggio delicatissimo, che non consente errori. Gli accessi alla scena del delitto devono essere ripetuti il meno possibile perché ogni volta che una persona entra in un ambiente introduce qualche cosa e porta via altre cose. Ma il colmo dell’ignominia è stato toccato nel caso Marta Russo».
–Si riferisce alle prove balistiche sul proiettile che uccise la studentessa nel cortile dell’Università La Sapienza di Roma?
«E non solo. S’è preteso di ricostruire la traiettoria della pallottola avendo a disposizione soltanto il foro d’ingresso del proiettile su un cranio che era in movimento e che quindi poteva rivolgersi in infinite direzioni. In tempi meno bui, sui libri di geometria del ginnasio non si studiava che per un punto passano infinite rette? Dopodiché sono andati a grattare il davanzale da cui sarebbe partito il colpo e hanno annunciato trionfanti: residui di polvere da sparo, ecco la prova! Peccato che si trattasse invece di una particella di ferodo per freni, di cui l’aria della capitale pullula a causa del traffico. La segretaria Gabriella Alletto è stata interrogata 13 volte con metodi polizieschi per farle confessare d’aver visto in quell’aula gli assistenti Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Uno che si comporta così, se non è un pubblico ministero, viene indagato per violenza privata. Un Pm non può usare tecniche da commissario di pubblica sicurezza, anche se era il metodo usato da Antonio Di Pietro, che infatti è un ex poliziotto».
–Un sistema che ha fatto scuola.
«La galera come mezzo di pressione sui sospettati per estorcere confessioni. Le manette sono diventate un moderno strumento di tortura per acquisire prove che mancano e per costringere a parlare chi, per legge, avrebbe invece diritto a tacere».
–Che cosa pensa delle intercettazioni telefoniche che finiscono sui giornali?
«Non serve una nuova legge per vietare la barbarie della loro indebita pubblicazione. Quella esistente è perfetta, perché ordina ai Pm di scremare le intercettazioni utili all’indagine e di distruggere le altre. Tutto ciò che non riguarda l’indagato va coperto da omissis in fase di trascrizione. Nessuno lo fa: troppa fatica. Ci vorrebbe una sanzione penale per i Pm. Ma cane non mangia cane, almeno in Italia. In Germania, invece, esiste uno specifico reato. Rechtsverdrehung, si chiama. È lo stravolgimento del diritto da parte del giudice».
–Come mai la giustizia s’è ridotta così?
«Perché, anziché cercare la prova logica, preferisce le tesi fantasiose, precostituite. Le statistiche dimostrano invece che nella quasi totalità dei casi un delitto è banale e che è assurdo andare in cerca di soluzioni da romanzo giallo. Lei ricorderà senz’altro il rasoio di Occam, dal nome del filosofo medievale Guglielmo di Occam».
–In un ragionamento tagliare tutto ciò che è inutile.
«Appunto. Le regole logiche da allora non sono cambiate. Non vi è alcun motivo per complicare ciò che è semplice. Il “cui prodest?” è risolutivo nel 50 per cento dei delitti. Chi aveva interesse a uccidere? O è stato il marito, o è stata la moglie, o è stato l’amante, o è stato il maggiordomo, vedi assassinio dell’Olgiata, confessato dopo 20 anni dal cameriere filippino Manuel Winston. Poi servono i riscontri, ovvio. In molti casi la risposta più banale è che proprio non si può sapere chi sia l’autore di un crimine. Quindi è insensato volerlo trovare per forza schiaffando in prigione i sospettati».
–Ma perché si commettono tanti errori nelle indagini?
«I giudici si affidano ai laboratori istituzionali e ne accettano in modo acritico i responsi. Nei rari casi in cui l’indagato può pagarsi un avvocato e un buon perito, l’esperienza dimostra che l’accertamento iniziale era sbagliato. I medici i loro errori li nascondono sottoterra, i giudici in galera. Paradigmatico resta il caso di Ettore Grandi, diplomatico in Thailandia, accusato nel 1938 d’aver ucciso la moglie che invece si era suicidata. Venne assolto nel 1951 dopo anni di galera e ben 18 perizie medico-legali inconcludenti».
–E si ritorna alla conclamata inettitudine dei periti.
«L’indagato innocente avrebbe più vantaggi dall’essere giudicato in base al lancio di una monetina che in base a delle perizie. E le risparmio l’aneddotica sulla voracità dei periti».
–No, no, non mi risparmi nulla.
«Vengono pagati per ogni singolo elemento esaminato. Ho visto un colonnello, incaricato di dire se 5.000 cartucce nuove fossero ancora utilizzabili dopo essere rimaste in un ambiente umido, considerare ognuna delle munizioni un reperto e chiedere 7.000 euro di compenso, che il Pm gli ha liquidato: non poteva spararne un caricatore? Ho visto un perito incaricato di accertare se mezzo container di kalashnikov nuovi, ancora imballati nella scatola di fabbrica, fossero proprio kalashnikov. I 700-800 fucili mitragliatori sono stati computati come altrettanti reperti. Parcella da centinaia di migliaia di euro. Per fortuna è stata bloccata prima del pagamento».
–In che modo se ne esce?
«Nel Regno Unito vi è il Forensic sciences service, soggetto a controllo parlamentare, che raccoglie i maggiori esperti in ogni settore e fornisce inoltre assistenza scientifica a oltre 60 Stati esteri. Rivolgiamoci a quello. Dispone di sette laboratori e impiega 2.500 persone, 1.600 delle quali sono scienziati di riconosciuta autorità a livello mondiale».
–E per le altre magagne?
«In Italia non esiste un testo che insegni come si conduce un interrogatorio. La regola fondamentale è che chi interroga non ponga mai domande che anticipino le risposte o che lascino intendere ciò che è noto al pubblico ministero o che forniscano all’arrestato dettagli sulle indagini. Guai se il magistrato fa una domanda lunga a cui l’inquisito deve rispondere con un sì o con un no. Una palese violazione di questa regola elementare s’è vista nel caso del delitto di Avetrana. Il primo interrogatorio di Michele Misseri non ha consentito di accertare un fico secco perché il Pm parlava molto più dello zio di Sarah Scazzi: bastava ascoltare gli scampoli di conversazione incredibilmente messi in onda dai telegiornali. Ci sarebbe molto da dire anche sulle autopsie».
–Ci provi.
«È ormai routine leggere che dopo un’autopsia ne viene disposta una seconda, e poi una terza, quando non si riesumano addirittura le salme sepolte da anni. Ciò dimostra solamente che il primo medico legale non era all’altezza. Io andavo di persona ad assistere agli esami autoptici, spesso ho dovuto tenere ferma la testa del morto mentre l’anatomopatologo eseguiva la craniotomia. Oggi ci sono Pm che non hanno mai visto un cadavere in vita loro».
–Ma in mezzo a questo mare di fanghiglia, lei com’è riuscito a fare il giudice per 42 anni, scusi?
«Mi consideri un pentito. E un corresponsabile. Anch’io ho abusato della carcerazione preventiva, ma l’ho fatto, se mai può essere un’attenuante, solo con i pregiudicati, mai con un cittadino perbene che rischiava di essere rovinato per sempre. Mi autoassolvo perché ho sempre lavorato per quattro. Almeno questo, tutti hanno dovuto riconoscerlo».
–Non è stato roso dal dubbio d’aver condannato un innocente?
«Una volta sì. Mi ero convinto che un impiegato delle Poste avesse fatto da basista in una rapina. Mi fidai troppo degli investigatori e lo tenni dentro per quattro-cinque mesi. Fu prosciolto dal tribunale».
–Gli chiese scusa?
«Non lo rividi più, sennò l’avrei fatto. Lo faccio adesso. Ma forse è già morto».
Intervistato sul Corriere della Sera da Indro Montanelli nel 1959, il giorno dopo essere andato in pensione, il presidente della Corte d’appello di Milano, Manlio Borrelli, padre dell’ex procuratore di Mani pulite, osservò che «in uno Stato bene ordinato, un giudice dovrebbe, in tutta la sua carriera e impegnandovi l’intera esistenza, studiare una causa sola e, dopo trenta o quarant’anni, concluderla con una dichiarazione d’incompetenza».
«In Germania o in Francia non si parla mai di giustizia. Sa perché? Perché funziona bene. I magistrati sono oscuri funzionari dello Stato. Non fanno né gli eroi né gli agitatori di popolo. Nessuno conosce i loro nomi, nessuno li ha mai visti in faccia».
Si dice che il giudice non dev’essere solo imparziale: deve anche apparirlo. Si farebbe processare da un suo collega che arriva in tribunale con Il Fatto Quotidiano sotto braccio? Cito questa testata perché di trovarne uno che legga Il Giornale non m’è mai capitato.
«Ho smesso d’andare ai convegni di magistrati da quando, su 100 partecipanti, 80 si presentavano con La Repubblica e parlavano solo di politica. Tutti espertissimi di trame, nomine e carriere, tranne che di diritto».
–Quanti sono i giudici italiani dai quali si lascerebbe processare serenamente?
«Non più del 20 per cento. Il che collima con le leggi sociologiche secondo cui gli incapaci rappresentano almeno l’80 per cento dell’umanità, come documenta Gianfranco Livraghi nel suo saggio Il potere della stupidità».
–Perché ha aspettato il collocamento a riposo per denunciare tutto questo?
«A dire il vero l’ho sempre denunciato, fin dal 1970. Solo che potevo pubblicare i miei articoli unicamente sul mensile Diana Armi. Ha chiuso otto mesi fa».
LE URLA DAL SILENZIO
http://urladalsilenzio.wordpress.com/tag/intervista-edoardo-mori/ - con Alfredo Cosco
IL VOSTRO UFFICIO STAMPA
Istruzione e formazione negli istituti penitenziari: Ministri Severino e Profumo sottoscrivono protocollo
20 ottobre 2012
Un Programma speciale per assicurare l’istruzione e la formazione all’interno degli istituti penitenziari, quale elemento fondamentale del trattamento dei condannati ed internati. Lo sottoscrivono, martedì 23 ottobre 2012 alle ore 9, presso l’istituto penale per minorenni di Roma Casal del Marmo, i ministri della Giustizia, Paola Severino, e dell’Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo.
Il protocollo, che viene siglato alla presenza dei capi dei dipartimenti per la Giustizia Minorile, Caterina Chinnici, e dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tamburino, nonché di rappresentanti di Confindustria e della Fondazione De Sanctis, punta a promuovere e sostenere lo sviluppo di un sistema integrato di istruzione e formazione professionale, favorendo l’acquisizione e il recupero di abilità e competenze individuali dei soggetti in esecuzione di pena nonché l’aggiornamento di insegnanti ed educatori che prestano servizio negli istituti penitenziari. L’intesa, che avrà la durata di tre anni, sarà realizzata in collaborazione con le Regioni e gli Enti Locali e il coinvolgimento di Enti, Fondazioni e Associazioni di volontariato.
La cerimonia della firma sarà allietata dai canti dei ragazzi del coro delle scuole di Napoli, coadiuvati dalla presenza di cinque ospiti dell’IPM di Nisida, nonché dalla degustazione di un piccolo rinfresco con prodotti realizzati nel laboratorio pizzeria dell’istituto minorile romano.
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I giornalisti e i cine/foto-operatori interessati a seguire l’evento potranno accreditarsi inviando una e-mail a ufficio.stampa@giustizia.it e dovranno presentarsi all’ingresso dell’istituto penale per minorenni di Roma Casal del Marmo (Via Giuseppe Barellai 140, zona Ospedale San Filippo Neri) muniti di valido documento di identificazione.
Decreto anticorruzione !
Sabato 20 ottobre 2012
Ddl anticorruzione: Severino su La Repubblica e Il Sole 24Ore
Dopo aver incassato la fiducia in Senato, la guardasigilli approfondisce il tema del ddl anticorruzione in due interviste rilasciate a Liana Milella e Donatella Stasio.
Sabato 20 ottobre 2012
Roma: Severino a incontro alla Pontificia Università Lateranense www.studiostampa.com
Previsioni di Giustizia !
Vicino Perugia, una barista ha reagito ad un tentativo di rapina, un complice fuori a far da palo ed un rapinatore nel Bar, lei ha steso con un colpo di Judo il rapinatore, poi, con l'aiuto di un cliente, ha chiamato i Carabinieri per farli arrestare.
Adesso arriverà un giudice che si affretterà a chiedere scusa ai rapinatori, provvederà a far avere un congruo indennizzo, metterà a loro disposizione il sostegno psicologico per il reinserimento nella società civile e farà arrestare la barista per percosse e lesioni. :-(
www.studiostampa.com
Adesso arriverà un giudice che si affretterà a chiedere scusa ai rapinatori, provvederà a far avere un congruo indennizzo, metterà a loro disposizione il sostegno psicologico per il reinserimento nella società civile e farà arrestare la barista per percosse e lesioni. :-(
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La nostra Civiltà si sta disintegrando !
NON CI SONO PIU' LIMITI ALLA CATTIVERIA UMANA !
Ieri mattina, a Padova, un bambino di 10 anni è stato prelevato a scuola dalla polizia in esecuzione di un provvedimento di affidamento in via esclusiva al padre. I metodi usati sono stati coercitivi, la violenza, quella violenza che la nostra associazione combatte da sempre , in questo caso e’ ancora di piu’ intollerante ed inaccettabile. Stiamo parlando di un bambino di 10 anni che viene strattonato e trascinato via, che si dimena, piange e grida, di fronte alla insensibilita’ dei suoi “carcerieri”… Presente il padre, quella figura familiare che dovrebbe rasserenarlo ma che invece non gli da quella sicurezza di cui avrebbe bisogno! Ci indigna ancora di piu’ vedere in rete filmati di arresti eccellenti (vedi Fiorito Regione Lazio) che viene arrestato con tanto di Suv ad attenderlo e con tutti gli onori e le precauzioni del caso! Dovrebbe essere tenuto a mente da tutti che i bambini vanno ascoltati, i bambini hanno dei diritti, non calpestiamoli per sciocche regole burocratiche! Dove sono questi diritti che la nostra societa’ tanto declama? Il video mandato ieri in onda dalla Sciarelli a “Chi l’ha Visto” e’ un pugno nello stomaco, guardandolo l’aria inizia a mancare e il respiro si fa affannoso. L’appello della nostra Associazione e’ rivolto a tutti, comuni cittadini, Enti locali, alle Commissioni della Sicurezza del nostro Parlamento, Intervengano immediatamente e prendano seri provvedimenti nei confronti di quelle figure istituzionali, assistenti sociali, e poliziotti ai quali dovremmo affidarci per essere tutelati, che hanno utilizzato metodi criminali. Quel bambino non e’ un boss, non e’ un delinquente, e’ un bambino che subira’ un trauma indelebile per sempre…… Chiediamo con la massima urgenza di riunire le commissioni per l’infanzia e di studiare una modifica ai provvedimenti di allontanamento minorile, emanati dai Tribunali per i Minorenni Italiani .
Link video: http://youtu.be/28i2W-5v6p8
Il presidente dell’Associazione Donne per La Sicurezza Onlus
Barbara Cerusico
IL VOSTRO UFFICIO STAMPA
Ieri mattina, a Padova, un bambino di 10 anni è stato prelevato a scuola dalla polizia in esecuzione di un provvedimento di affidamento in via esclusiva al padre. I metodi usati sono stati coercitivi, la violenza, quella violenza che la nostra associazione combatte da sempre , in questo caso e’ ancora di piu’ intollerante ed inaccettabile. Stiamo parlando di un bambino di 10 anni che viene strattonato e trascinato via, che si dimena, piange e grida, di fronte alla insensibilita’ dei suoi “carcerieri”… Presente il padre, quella figura familiare che dovrebbe rasserenarlo ma che invece non gli da quella sicurezza di cui avrebbe bisogno! Ci indigna ancora di piu’ vedere in rete filmati di arresti eccellenti (vedi Fiorito Regione Lazio) che viene arrestato con tanto di Suv ad attenderlo e con tutti gli onori e le precauzioni del caso! Dovrebbe essere tenuto a mente da tutti che i bambini vanno ascoltati, i bambini hanno dei diritti, non calpestiamoli per sciocche regole burocratiche! Dove sono questi diritti che la nostra societa’ tanto declama? Il video mandato ieri in onda dalla Sciarelli a “Chi l’ha Visto” e’ un pugno nello stomaco, guardandolo l’aria inizia a mancare e il respiro si fa affannoso. L’appello della nostra Associazione e’ rivolto a tutti, comuni cittadini, Enti locali, alle Commissioni della Sicurezza del nostro Parlamento, Intervengano immediatamente e prendano seri provvedimenti nei confronti di quelle figure istituzionali, assistenti sociali, e poliziotti ai quali dovremmo affidarci per essere tutelati, che hanno utilizzato metodi criminali. Quel bambino non e’ un boss, non e’ un delinquente, e’ un bambino che subira’ un trauma indelebile per sempre…… Chiediamo con la massima urgenza di riunire le commissioni per l’infanzia e di studiare una modifica ai provvedimenti di allontanamento minorile, emanati dai Tribunali per i Minorenni Italiani .
Link video: http://youtu.be/28i2W-5v6p8
Il presidente dell’Associazione Donne per La Sicurezza Onlus
Barbara Cerusico
IL VOSTRO UFFICIO STAMPA
Far funzionare la giustizia. Ecco come.
- La giustizia è un servizio fondamentale che lo Stato rende al cittadino. Una giustizia inefficiente costituisce un fattore di disgregazione per la società e ne limita la crescita economica.
- Una giustizia civile inefficiente, in particolare, si riflette in una riduzione degli investimenti, soprattutto dall’estero; fa sì che il mercato del credito e, più in generale, della finanza siano poco sviluppati e che vi siano asimmetrie nei tassi d’interesse tra diverse regioni del paese, a seconda della durata dei processi; comporta rigidità nel mercato del lavoro; limita la concorrenza nei settori produttivi, nei servizi, e nelle professioni; provoca una distorsione della struttura delle imprese; ingessa il mercato immobiliare; ecc.
- Il problema fondamentale della giustizia in Italia consiste nell’eccessiva durata dei procedimenti. Secondo una classifica della Banca Mondiale, l’Italia si colloca al 156° posto, sui 181 paesi analizzati, per la durata di una normale controversia di natura commerciale. Basti dire che abbiamo dovuto adottare una legge (la c.d. Legge Pinto) per compensare gli italiani per le eccessive lungaggini dei processi, evitando così il continuo ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo e che, pochi mesi fa, abbiamo dovuto modificarla per limitare gli eccessivi risarcimenti accordati.
- La durata dei processi comporta, a sua volta, un numero eccezionale di liti pendenti. Si vedano i dati comparativi contenuti nei Rapporti Cepej,European Commission for the Efficiency of Justice dell’Unione Europea. Peraltro, si noti che la spesa pro-capite per la giustizia in Italia non è inferiore agli altri Paesi; è semplicemente utilizzata in modo inefficiente.
- L’elevato numero di processi pendenti è però anche determinato da una maggiore litigiosità (rispetto agli altri Paesi dell’UE), in parte dovuta all’abuso dello strumento processuale, utilizzato spesso per controversie bagatellari. Il basso costo iniziale delle spese legali per promuovere una causa e il limitato rischio di risarcire le spese legali effettivamente sostenute dalla controparte incentivano questo fenomeno. A ciò si aggiunga che gli avvocati sono stati tradizionalmente remunerati in funzione della durata del processo.
- Far funzionare la giustizia significa quindi affrontare i temi dell’efficienza, della specializzazione dei giudici e della loro produttività.
- Negli ultimi anni il dibattito politico (ma anche tra tecnici) ha prevalentemente toccato temi di rilievo costituzionale che avrebbero comportato una ristrutturazione della macchina della giustizia con riforme di rango costituzionale. Rimandiamo ad uno studio di quelle riforme sulle quali ci proponiamo di aprire anche un dibattito con tutti gli aderenti, senza con ciò sottostimare questi problemi (anche se riteniamo che in molti casi le riforme proposte dai governi nel passato recente sottendessero piuttosto interessi personali e non della collettività). Il nostro programma ha una prevalente attenzione ai temi economici, con l’obiettivo dichiarato di fermare il declino nel quale versa il nostro paese. Per questo, per il momento almeno, vogliamo concentrare la nostra azione su interventi concreti, di urgente attuazione e che siano in grado di rimettere in moto rapidamente la macchina della giustizia.
1. Giustizia civile:
Efficienza:
- Disincentivare l’abuso dello strumento processuale prevedendo una piena condanna per le spese processuali sostenute dalla controparte; in caso di mala fede, le sanzioni potrebbero essere estese agli avvocati. Gli avvocati dovrebbero essere disincentivati economicamente a promuovere cause futili o prolungare la durata dei processi.
- Migliorare la normativa sui filtri all’appello e al ricorso in Cassazione.
- Estendere con grande celerità il processo telematico con un sistema di incentivi per i tribunali che li adotteranno più rapidamente.
- Generalizzare la possibilità, ancora poco utilizzata, di pronunciare la sentenza con lettura immediata del dispositivo, con concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, riducendo i tempi della stesura della sentenza.
- Semplificare la fase di conferimento dell'incarico ai consulenti tecnici d'ufficio, che devono poi essere incentivati anche economicamente per quanto riguarda i tempi di deposito della perizia.
Produttività:
- Promuovere una riorganizzazione della struttura degli uffici giudiziari, da ottenersi, se necessario, anche con l’inserimento di figure manageriali scelte dagli operatori di giustizia in loco attraverso una selezione professionale, che contribuiscano a velocizzare le procedure interne agli uffici e ne riducano i costi, liberando altresì il tempo a disposizione dei magistrati.
- Introdurre metodi di lavoro finalizzati allo smaltimento dei carichi pendenti e all’accorciamento della durata dei processi. Si vedano i risultati molto positivi ottenuti dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Torino sotto la presidenza di Mario Barbuto che ha stilato un decalogo per lo smaltimento dell’arretrato, partendo dalle cause più vecchie a seguito di una catalogazione dei procedimenti pendenti. Ciò peraltro consentirebbe una maggiore trasparenza sull’operato dei giudici e consentirebbe una migliore valutazione della loro performance.
- Generalizzare metodi di lavoro che riducano la quantità di procedimenti che ciascun giudice gestisce contemporaneamente, per ridurre la frammentarietà dei procedimenti. Si vedano i risultati molto positivi di sperimentazione ottenuti dalla Corte d’Appello Sezione Lavoro di Roma e dalla già citata Corte d’Appello di Torino. Si vedano anche gli studi di Decio Coviello, Andrea Ichino, e Nicola Persico che, sulla base dei risultati delle Sezioni Lavoro dei Tribunali di Torino e Napoli, hanno illustrato come una migliore organizzazione del lavoro che eviti la proliferazione in parallelo delle cause e comporti una riassegnazione delle cause dei giudici assenti (ad esempio per gravidanza) possa portare ad un accorciamento significativo dei tempi del giudizio.
- Dotare il giudice togato di un ufficio costituito da giovani laureati selezionati secondo criteri qualitativi, dotati di una borsa di studio, che coadiuvino il giudice. La pratica dei giovani nell’Ufficio del giudice deve essere inserita a regime nel normale meccanismo concorsuale di accesso alla magistratura e ammessa come tirocinio abilitante agli esami per l’avvocatura. Si vedano i risultati molto positivi di sperimentazione ottenuti dal Tribunale di Milano.
- Per generalizzare tali comportamenti virtuosi è necessario, pur garantendo la massima indipendenza della magistratura, valorizzare la performance dei giudici anche in termini di efficienza e produttività, in termini sia di remunerazione sia di responsabilità. In particolare, nel giudicare la performance, al fine dei passaggi di carriera a posizioni direttive o che comunque comportino responsabilità di uffici, il CSM deve necessariamente avvalersi di tecnici specializzati nella valutazione delle risorse umane.
Specializzazione:
- Introdurre maggiore competenza (che si traduce in rapidità e equità delle sentenze) nei tribunali attraverso la creazione di sezioni e giudici specializzati, come già avviene nei tribunali maggiori; in particolare, potrebbero esser create sezioni specializzate in diritto commerciale, del lavoro, fallimentare, di famiglia, delle locazioni, e della proprietà industriale e intellettuale (queste ultime di recente sono state incorporate nelle sezioni in materia di impresa, facendo venir meno la competenza specifica). Ove opportuno, le sezioni potrebbero essere concentrate presso uno o più tribunali all’interno di una regione, con un limitato aggravio per le parti, a fronte di molteplici vantaggi.
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Molti degli interventi di rapid€a attuazione indicati per la giustizia civile, specie quelli riguardanti la produttività, sono possibili e desiderabili in forma opportunamente modificata anche per gli altri settori. Si vedano, ad esempio, i risultati molto positivi ottenuti dalla Procura di Bolzano diretta da Cuno Tarfusser che ha tagliato i costi del 70 per cento in tre anni, ottenuto la certificazione di qualità Iso 9000, e redatto annualmente il bilancio sociale. In termini più generali, coerentemente con gli interventi sopra delineati per la giustizia civile, ha proposto la distinzione degli aspetti gestionali da quelli giurisdizionali. Di seguito, sono indicate talune ulteriori proposte più specifiche.
2. Giustizia penale
o Prevedere ulteriori incentivi alla scelta dei riti alternativi, a fronte del rischio che in caso di condanna nel dibattimento si incorra in una pena certa e assai più severa.
o Assicurare certezza ed effettività della pena riformando in profondità la disciplina della prescrizione e della concessione dei benefici ai carcerati.
o Limitare la carcerazione preventiva, attraverso sistemi di controllo (es. braccialetto elettronico) già in vigore in altri paesi.
o Semplificare il meccanismo delle notifiche, con particolare riguardo all’ipotesi degli irreperibili, responsabilizzando l’imputato rispetto alla conoscenza e all’andamento del processo.
o Le notifiche ai difensori devono inoltre poter essere fatte con i normali mezzi telematici esistenti.
o Limitare il principio d’immediatezza, consentendo al giudice che si sostituisca in un processo pendente di utilizzare i verbali delle testimonianze assunte dal predecessore e, eventualmente, di risentire quei testimoni che reputi necessari.
o Utilizzare al meglio i beni confiscati alle organizzazioni mafiose, liberando altri cespiti dei comuni e utilizzando i proventi per migliorare le condizioni economiche degli uomini delle Forze dell'Ordine.
3. Giustizia tributaria:
o Aumentare gli strumenti per la sospensiva che oggi, a causa della lunghezza dei procedimenti, non è in grado di proteggere il contribuente dal recupero forzato delle somme. E’ necessario prevedere che l’azione esecutiva rimanga sospesa fino a quando il giudice non si sia pronunciato sull'eventuale istanza di sospensiva, assicurando al contempo che ciò debba avvenire in tempi brevi per evitare abusi dello strumento.
o Ripensare la composizione delle commissioni tributarie per accrescerne la competenza, data la sempre maggiore complessità delle problematiche tributarie.
o Garantire la necessaria specializzazione in materie tributarie dei giudici anche presso la Cassazione, posto che con il sistema attuale si tratta di magistrati che per definizione hanno percorso una carriera in settori affatto diversi.
4. Giustizia amministrativa:
- Il giudice amministrativo può essere mantenuto come giudice speciale dell'amministrazione, ma è necessaria una regolamentazione più puntuale, severa e restrittiva, della disciplina degli incarichi extragiudiziali, a tutela della sua posizione di terzietà e a garanzia della continuità e professionalità della carriera giurisdizionale.
- E’ opportuno introdurre rispetto al processo amministrativo delle forme di Alternative Dispute Resolution, sia nella forma dei ricorsi amministrativi preventivi sia in quelle già presenti in altri ordinamenti dell’Unione Europea, al fine di deflazionare il processo amministrativo e fornire alla pubblica amministrazione nei casi controversi una indicazione autorevole e imparziale preventiva.
- E’ opportuno favorire la maggiore specializzazione anche del giudice amministrativo, creando sezioni specializzate, specie in materia di energia e nei vari settori del diritto pubblico dell'economia.
- Per affrontare il problema delle inerzie e dei ritardi della pubblica amministrazione non è sufficiente utilizzare gli strumenti del silenzio assenso e delle denunce di inizio attività. Le imprese hanno bisogno di un provvedimento per avere certezza. Bisogna pertanto anche favorire percorsi alternativi che consentano di pervenire a una decisione unica e definitiva, riducendo le contrapposizioni tra i diversi enti pubblici interessati. Si potrebbe anche intervenire sulla disciplina dei reati commessi dalla pubblica amministrazione al fine di incentivare la dirigenza amministrativa ad assumersi i poteri decisionali che le competono.
5. Carceri:
- Affidamento tramite appalti pubblici dei servizi di gestione degli istituti di pena con esclusione dei servizi di sorveglianza. Incentivare la costruzione di penitenziari in concessione di lavori e project finance.
- Introduzione di pene alternative per condannati non pericolosi.
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