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martedì 11 marzo 2014

Ciao, ciao…ricorso. Il Tribunale di Cremona manda in soffitta definitivamente la vecchia prassi. Solo con atto di citazione si può impugnare le delibera assembleare.

La svolta. La questione sembrava ormai essere risolta ma nel 2004 la Cassazione decise di mutare orientamento. Con sentenza n. 14560 del 30/7/2004 ha affermato che, benché in linea di principio il termine “ricorso” utilizzato dall'art. 1137 c.c. in tema di impugnazione delle delibere assembleari del condominio debba essere inteso in senso tecnico, con conseguente onere per il ricorrente di depositare l'atto introduttivo nella cancelleria nel termine di 30 giorni dalla data di adozione o comunicazione della delibera stessa, l'impugnazione deve tuttavia ritenersi tempestiva anche quando sia stata proposta con atto di citazione notificato entro il suddetto termine, non rilevando che l'iscrizione a ruolo sia avvenuta successivamente. Quindi con questa decisione viene superato il precedente orientamento sostenuto dalla sentenza n. 2081/1988, secondo cui la tempestività dell'impugnazione della delibera condominiale, ove proposta erroneamente con citazione, andrebbe valutata tenendo conto della data del deposito dell'atto in cancelleria. Questo nuovo orientamento fu prontamente seguito dai giudici di merito. Negli anni a seguire la stessa Cassazione, pur aderendo al suo ultimo orientamento, compie un ulteriore passo in avanti dando una interpretazione estensiva al termine “ricorso” ribadendo che l'azione possa essere esercitata indifferentemente con ricorso o citazione, in quest'ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine, bisogna tener conto della data di notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, anziché di quella del successivo deposito in cancelleria che avviene al momento dell'iscrizione della causa al ruolo (Cass. 11 aprile 2006, n.8440). La successiva sentenza (Cass. 28 maggio 2008, n. 14007) conferma quanto affermato dalla precedente sentenza in ordine alla rilevanza della data di notifica della citazione in cui venga impugnata la delibera, e non del successivo deposito per l'iscrizione al ruolo della causa.

Il diktat delle Sezioni Unite. L'acceso dibattito interpretativo approda alla Sezioni Unite. La sentenza n. 8491/11, del 14 aprile, rappresenta l'epilogo di un lungo e tormentato dibattito giurisprudenziale: è con l'atto citazione che bisogna proporre per la domanda di annullamento della delibera condominiale, perché l'art. 1137 C.c. non disciplinando espressamente la forma dell'impugnazione resta, dunque, soggetta alla regola di cui all'articolo 163 C.p.c. Se tuttavia la domanda è proposta impropriamente con il ricorso, invece che con la citazione, essa può egualmente essere ritenuta valida a patto che l'atto sia presentato al giudice, e non anche notificato, entro i trenta giorni previsti dall'articolo 1137 C.c. La lettera dell'articolo 1137 C.c., nella sua semplicità, si limita a consentire «ai dissenzienti e agli assenti» all'assemblea di agire in giudizio, per contestare la conformità alla legge o al regolamento di condominio delle decisioni adottate. Ma nulla stabilisce in merito alle modalità di impugnazione, che dunque vanno individuate alla stregua della generale previsione dell'articolo 163 Cpc («la domanda si propone mediante citazione»). I giudici, con questa pronuncia, hanno anticipato il contenuto della riforma del condominio che prevede, appunto, per l'impugnazione delle delibere dell'assemblea lo strumento della citazione e non del ricorso.

L'orientamento recepito. Con l'entrata in vigore il 18 giugno del 2013, della legge di riforma del condominio, il comma 2° dell'art.1137 dispone: contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. La riforma elimina il termine ricorso, e per tali ragioni, l'impugnazione dovrà avvenire con atto di citazione. Tale orientamento è stato prontamente recepito dalla giurisprudenza di merito. Infatti, il Tribunale di Cremona, con sentenza n. 37 del 23 gennaio 2014 , ha dichiarato inammissibile l'impugnazione di una deliberazione condominiale proposta con ricorso. Quindi, per impugnare una delibera assembleare si deve utilizzare l'atto di citazione lasciando da parte la forma atipica di ricorso perché nella motivazione si precisa quanto segue:
introducendo il giudizio con l'atto di ricorso sono venuti a mancare i requisiti previsti a pena di nullità del numero 7) dell'art. 163 c.p.c.: ossia la data dell'udienza di prima comparizione e gli avvertimenti destinati al corretto instaurarsi del contraddittorio processuale con il convenuto. Non può operare il principio generale di conservazione degli atti processuali poiché mancando la data di dell'udienza lo scopo prefissatosi dal legislatore non è in alcun modo raggiunto.
la nullità di cui è affetto l'atto introduttivo non potrebbe neppure essere sanata attraverso il meccanismo sanante di cui all'art. 164, comma 2, c.p.c., in quanto esso è regolato espressamente nei soli casi di introduzione del giudizio con citazione e, in ogni caso, in quanto il ricorso (necessariamente) era totalmente privo dell'indicazione di una udienza di comparizione (e non solo "l'avvertimento previsto dal n. 7) dell'art. 163" di cui al primo comma dell'articolo in questione).
Il primo orientamento del Tribunale di Milano. Il giudice cremonese, in motivazione, cita anche un precedente emesso dal Tribunale di Milano che, con provvedimento n. 56369/13 del 21 ottobre 2013, ha dichiarato inammissibile l'impugnazione della delibera proposta da un condomino con ricorso anziché con citazione. Il presupposto della decisione si fonda sulla nuova formulazione dell'art. 1137 che ha modificato la formula “fare ricorso” con la frase “adire l'autorità giudiziaria”. Da ciò ne consegue che un condomino, per impugnare la delibera assembleare, deve avvalersi solamente dell'atto di citazione. Il ricorso non è idoneo ad instaurare il giudizio di impugnazione della delibera assembleare, essendo sprovvisto dell'indicazione della data di udienza fissa e degli avvertimenti previsti dal codice di procedura civile con la chiamata in causa della controparte.

Fonte: CondominioWeb - Articolo Completo QUI !

www.studiostampa.com

mercoledì 15 gennaio 2014

I proprietari di box o negozi hanno sempre l’obbligo di pagare i lavori di manutenzione del tetto dell’edificio?




domenica 28 aprile 2013

Per la paninoteca rumorosa nessuna condanna se disturba solo qualche condomino.

di Luana Tagliolini - Rumori in condomino che dilemma!
Per l'inibizione delle immissioni rumorose eccedenti la "normale tollerabilità" provenienti da attività o impianti, è necessario applicare l'art. 844 c.c. avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. 
Se il bene della tranquillità è espressamente tutelato dal regolamento di condominio per accertare se l'attività illegittima costituisce o meno immissione vietata ex art. 844 cit. bisognerà avvalersi del criterio di valutazione fissato dal regolamento di condominio che può imporre limitazioni anche più severe di quelle indicate dall'art. 844 cit. 

Le immissioni, però, potrebbero avere anche risvolti penali come conseguenza del comportamento tenuto da chi commette immissioni rumorose oltre il limite della "normale tollerabilità" o di chi agisca contrariamente a quanto disposto da un regolamento condominiale; tali condotte potrebbero integrare la fattispecie delittuosa di cui all'art. 659 del codice penale. "Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone" purché ne sussistano le condizioni una delle quali è che il fenomeno rumoroso sia idoneo a disturbare un numero indeterminato di perone e non un numero limitato. 

Tali principi sono stati ribaditi, dalla Corte di Cassazione, in una recente sentenza (sez. I Penale, sent. del 17 aprile 2013, n. 17614) con la quale ha accolto il ricorso di un esercente una paninoteca - ubicata nel piano sottostante all'appartamento abitato dai coniugi-attori - condannato, in primo grado, per il reato di cui all'art. 659 c.p.

Fonte: Per la paninoteca rumorosa nessuna condanna se disturba solo qualche condomino.
(Fonte: StudioCataldi.it
www.studiostampa.com

mercoledì 31 ottobre 2012

La responsabilita’ civile e penale dell’amministratore di condominio.

Articolo di Alessandro Gallucci
L’amministratore è il mandatario dei condomini (o del condominio, la differenza non è di poco conto e ci riferiamo ai proprietari solo perche’ quella è l’indicazione preponderante in giurisprudenza, cfr. Cass. SS.UU. n. 9148/08).
IL CONDOMINIO
Come legale rappresentante della compagine, egli commettere errori e quindi incorrere in responsabilità connesse all'espletamento dell’incarico. Errori o, peggio, comportamenti volontari ai quali sono riconnesse responsabilita’ di tipo civile e penale. Partiamo da queste ultime. L’amministratore “fugge con la cassa condominiale”? Egli commette il reato di appropriazione indebita aggravata. Il mandatario si mette d’accordo con le imprese per gonfiare le fatture per la prestazione dei servizi per incassare più  del dovuto e spartirsi il malloppo? Allora è punibile per truffa. L’amministratore fa eseguire interventi edilizi senza le necessarie autorizzazioni amministrative? Sarà imputabile, a seconda dell’omissione, per il reato edilizio di riferimento (cfr. d.p.r. n. 380/01). Ciò per quanto riguarda i profili penali. E per quelli civili? Di che cosa può rendersi responsabile l’amministratore? Innanzitutto c’è la responsabilita’ nei confronti dei condomini per l’inadempimento delle incombenze che gli spettano per legge fin dal momento della nomina. In pratica quelle di cui s’è detto fin’ora. L’amministratore, inoltre, è responsabile per “eccesso di potere”. Si pensi al cambio di fornitore di energia elettrica o al contratto di assicurazione, entrambi stipulato senza preventivo consenso dell’assemblea. Salvo successiva ratifica egli è responsabile verso il condominio e verso il terzo (artt. 1398-1711 c.c.). Il mandatario, inoltre, può essere responsabile per avere eseguito delibere palesemente illegittime. Si pensi alle decisioni assembleari che senza alcuna autorità  impongono limitazioni all'uso delle parti di proprietà  esclusiva. Con riferimento a quest’ultima ipotesi è necessario chiedersi: fino a che punto deve spingersi la valutazione dell’amministratore. circa la legittimità’ di una decisione dell’assise?
Per rispondere al quesito non si può  partire dal rapporto giuridico che s’instaura tra compagine e proprio rappresentante: un contratto di mandato. Ebbene in quest’ambito, è la legge a dircelo (art. 1710 c.c.), l’amministratore è tenuto a comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia che, “tradotto dal legalese all'italiano”, significa: dare delle valutazioni senza entrare nello specifico di questioni che per complessità  non gli competono. Un amministratore può  valutare se una delibera è lesiva di un diritto di servitù  a favore di un condomino (o di un terzo) su una cosa comune. Se lo è non deve eseguirla. Se l’assemblea si è autoconvocata, l’amministratore è tenuto a considerare veritiere le affermazioni contenute nel verbale, in merito alla regolare convocazione, senza poter sindacare la legittimità del deliberato stesso, salvo prove evidenti discordanti. Sostanzialmente si puo’ dire che di fronte a delibere chiaramente nulle l’amministratore debba rifiutarsi di porle in esecuzione, eventualmente convocando un’assemblea per spiegarne i motivi. A fronte di decisioni formalmente viziate (es. omessa convocazione) all’amministratore, per prudenza, basterà  attendere lo spirare del termine d’impugnazione di cui all’art. 1137 c.c. Diversamente, in entrambi i casi, è ipotizzabile una responsabilità contrattuale per inadempimento.
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