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Il Governo chiede suggerimenti sulla riforma della Giustizia. Arrivano le ricette della Banca Mondiale

Nel "Doing Business in Italy 2013" l'urgenza della riforma della giustizia civile in Italia. Le modifiche applicabili all'ordinamento corrente, adottate in altri Paesi con criticità simili a quelle italiane. E' la prima volta che un Paese del G7 chiede una consulenza di questo tipo.
"Doing Business" è il nome di un progetto decennale della Banca Mondiale che mira a misurare l'efficienza delle regolamentazioni d'impresa nazionali attraverso indicatori costruiti secondo una metodologia standard e "benchmarking", che permette cioè di effettuare comparazioni "ceteris paribus" tra i Paesi nel mondo.
Il rapporto "Doing Business in Italy 2013" pubblicato quest'oggi analizza l'efficienza delle regolamentazioni d'impresa in tredici città (Bari, Bologna, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L'Aquila, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Potenza, Roma e Torino) e sette porti italiani (Cagliari, Catania, Genova, Gioia Tauro, Napoli, Taranto e Trieste). Lo studio costituisce una versione più approfondita del più generale rapporto "Doing Business" e, oltre a descrivere i diversi ostacoli e le opportunità che i piccoli e medi imprenditori debbono affrontare a seconda di dove siano localizzati, permette anche la comparazione delle regolamentazioni con altre 350 città nel mondo (analizzate in altri rapporti "subnazionali"). Una simile analisi, prima nel suo genere in un paese del G7, è stata avviata su iniziativa di Biagio Bossone, responsabile del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, che ha anche provveduto  a finanziare l'intero progetto.
Avendo la Banca Mondiale individuato da tempo come centrale per lo sviluppo del tessuto produttivo di un paese la rapidità e l'efficienza della giustizia civile, Doing Business misura con un indicatore specifico anche l'efficienza del sistema giudiziario di un paese in questo ambito. Nella fattispecie, il rapporto analizza i costi (rappresentati dal costo dell'avvocato, dalle spese processuali del giudizio e dal costo per l'esecuzione della sentenza), i tempi e le fasi processuali necessarie per dirimere una disputa commerciale presso un tribunale locale.
Nelle tredici città esaminate, la risoluzione di una controversia commerciale "standard" (secondo quanto definito dalla metodologia Doing Business) richiede in media 41 fasi processuali, per una durata di 1400 giorni ed un costo complessivo pari al 26,2% del valore della controversia stessa. "La performance di queste città è ben al di sotto di quella degli altri Paesi dell'Unione Europea", si legge nel rapporto, "dove la media è di 32 fasi processuali e 547 giorni" ed il costo risulta "pari al 21,5% del valore della controversia". Inoltre, includendo il valore medio delle performance delle tredici città italiane nella classifica globale Doing Business, l'Italia si collocherebbe al 155° posto su una lista di 185 Paesi (migliori di noi, per citarne solo alcuni, la Sierra Leone, il Malawi, l'Iraq, la Bolivia).
Come detto, tuttavia, l'analisi riportata nel rapporto permette di enucleare le differenze esistenti tra diverse realtà del Paese. Così a Torino una disputa sarà risolvibile in "soli" 855 giorni ad un costo del 22,3% del valore della controversia, mentre a Bari, ad esempio, saranno necessari 2022 giorni per la risoluzione del medesimo contenzioso, ad un costo pari al 34,1% del valore dello stesso. Lo stesso tipo di processo, di contro, durerebbe 390 giorni in Francia, 394 in Germania e 510 in Spagna: anche nella città più efficiente d'Italia, dunque, i tempi della giustizia supererebbero di gran lunga quelli registrati in altre città d'Europa.
L'urgenza di una riforma della giustizia civile in Italia è sottolineata a più riprese nel rapporto, nel quale vengono indicate una serie di modifiche applicabili all'ordinamento corrente le quali, adottate in altri Paesi con criticità simili a quelle italiane, hanno di recente condotto ad ottimi risultati. Tra queste troviamo la promozione di nuovi sistemi di gestione delle cause, il monitoraggio delle attività dei magistrati, l'introduzione di leggi ad hoc che disciplinino la riduzione della cause in arretrato, la promozione del processo telematico e la specializzazione dei tribunali.
Fonte: FAINOTIZIA
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Corte Costituzionale - No Mediazione Obbligatoria


DIFENDIAMO LA MEDIAZIONE:
Con la forza di 948 Organismi e 90.000 Mediatori

Il Comunicato Stampa del 24.10.2012 evidenzia che la Corte Costituzionale “ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione”. La Corte Costituzionale, pertanto, ha concentrato l’attenzione esclusivamente sull’eccesso di delega ex articolo 77.
La “ratio” della riforma della mediazione civile si fonda su buone ragioni giuridiche e sociali; occorre farle emergere per il bene del Paese Italia. Con un disposto normativo che sani la carenza di delega del d.lgs. 28/2010 e rafforzi l’istituto della mediazione secondo i parametri europei della competenza e professionalità dei mediatori, necessariamente con il ruolo da protagonista della classe forense che, con la sua esperienza e competenza potrà essere la “guida illuminata” in tale percorso.

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LA SENTENZA SULLA MEDIAZIONE
il Fumus Boni Iuris da far emergere 

Il dispositivo, seguito all'udienza pubblica della Corte Costituzionale del 23.10.2012, rappresenta il triste epitome di circa un anno di confronto/scontro sulla riforma della mediazione civile in Italia. Tanto si è discusso in questi ultimi mesi di tale riforma e delle relative eccezioni di costituzionalità; forse anche troppo e, spesso, in modo improprio.

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IL VOSTRO UFFICIO STAMPA