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mercoledì 31 ottobre 2012

La responsabilita’ civile e penale dell’amministratore di condominio.

Articolo di Alessandro Gallucci
L’amministratore è il mandatario dei condomini (o del condominio, la differenza non è di poco conto e ci riferiamo ai proprietari solo perche’ quella è l’indicazione preponderante in giurisprudenza, cfr. Cass. SS.UU. n. 9148/08).
IL CONDOMINIO
Come legale rappresentante della compagine, egli commettere errori e quindi incorrere in responsabilità connesse all'espletamento dell’incarico. Errori o, peggio, comportamenti volontari ai quali sono riconnesse responsabilita’ di tipo civile e penale. Partiamo da queste ultime. L’amministratore “fugge con la cassa condominiale”? Egli commette il reato di appropriazione indebita aggravata. Il mandatario si mette d’accordo con le imprese per gonfiare le fatture per la prestazione dei servizi per incassare più  del dovuto e spartirsi il malloppo? Allora è punibile per truffa. L’amministratore fa eseguire interventi edilizi senza le necessarie autorizzazioni amministrative? Sarà imputabile, a seconda dell’omissione, per il reato edilizio di riferimento (cfr. d.p.r. n. 380/01). Ciò per quanto riguarda i profili penali. E per quelli civili? Di che cosa può rendersi responsabile l’amministratore? Innanzitutto c’è la responsabilita’ nei confronti dei condomini per l’inadempimento delle incombenze che gli spettano per legge fin dal momento della nomina. In pratica quelle di cui s’è detto fin’ora. L’amministratore, inoltre, è responsabile per “eccesso di potere”. Si pensi al cambio di fornitore di energia elettrica o al contratto di assicurazione, entrambi stipulato senza preventivo consenso dell’assemblea. Salvo successiva ratifica egli è responsabile verso il condominio e verso il terzo (artt. 1398-1711 c.c.). Il mandatario, inoltre, può essere responsabile per avere eseguito delibere palesemente illegittime. Si pensi alle decisioni assembleari che senza alcuna autorità  impongono limitazioni all'uso delle parti di proprietà  esclusiva. Con riferimento a quest’ultima ipotesi è necessario chiedersi: fino a che punto deve spingersi la valutazione dell’amministratore. circa la legittimità’ di una decisione dell’assise?
Per rispondere al quesito non si può  partire dal rapporto giuridico che s’instaura tra compagine e proprio rappresentante: un contratto di mandato. Ebbene in quest’ambito, è la legge a dircelo (art. 1710 c.c.), l’amministratore è tenuto a comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia che, “tradotto dal legalese all'italiano”, significa: dare delle valutazioni senza entrare nello specifico di questioni che per complessità  non gli competono. Un amministratore può  valutare se una delibera è lesiva di un diritto di servitù  a favore di un condomino (o di un terzo) su una cosa comune. Se lo è non deve eseguirla. Se l’assemblea si è autoconvocata, l’amministratore è tenuto a considerare veritiere le affermazioni contenute nel verbale, in merito alla regolare convocazione, senza poter sindacare la legittimità del deliberato stesso, salvo prove evidenti discordanti. Sostanzialmente si puo’ dire che di fronte a delibere chiaramente nulle l’amministratore debba rifiutarsi di porle in esecuzione, eventualmente convocando un’assemblea per spiegarne i motivi. A fronte di decisioni formalmente viziate (es. omessa convocazione) all’amministratore, per prudenza, basterà  attendere lo spirare del termine d’impugnazione di cui all’art. 1137 c.c. Diversamente, in entrambi i casi, è ipotizzabile una responsabilità contrattuale per inadempimento.
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