di Ettore Vita - Fonte: Supermoney
I saggi, nominati da Napolitano, ne hanno individuato cause e possibili rimedi.
I cosiddetti saggi, nei documenti consegnati al Presidente della Repubblica, hanno posto l'accento sulla necessità di "intervenire sull'efficienza della giustizia civile, afflitta in Italia dalla lunga durata media dei processi e dall'accumulo di processi pendenti." Parlano di una "autentica emergenza", che arreca un grave pregiudizio all'economia, semina incertezza fra gli operatori economici, scoraggia gli investimenti e mina "la reputazione internazionale del Paese".
Omettono, a mio avviso, di sottolineare che i tempi della giustizia danneggiano innanzitutto le persone. Il cittadino non riesce ad avere giustizia né nel campo penale, né nel campo civile. Si dovrebbe parlare di giustizia negata.
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Ritardi, inefficienze e attacchi ai giudici
La (brutta) pagella Ue sulla giustizia italiana.
La Reding: «La politica lasci lavorare i magistrati». In Italia 500 giorni per risolvere una causa civile.
«Giù le mani dai giudici. Se si vuole che la magistratura sia davvero indipendente, bisogna lasciarla lavorare»: così il commissario Ue alla Giustizia Viviane Reding risponde a chi le chiede se non ritenga che in Italia il conflitto tra politica e giustizia sia una delle cause dell'inefficienza del sistema. La Reding parlava a margine della presentazione del rapporto europeo sull'efficienza dei sistemi giudiziari in Europa, un rapporto che ha dato amare conferme sullo stato di salute della giustizia in Italia.
Fonte: Corriere della Sera.it - Articolo Completo
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La Reding: «La politica lasci lavorare i magistrati». In Italia 500 giorni per risolvere una causa civile.
Viviane Reding (Afp) |
Fonte: Corriere della Sera.it - Articolo Completo
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Le Testimonianze di Diritto & Famiglia
Oggi intervistiamo la dott.ssa Marialuisa Vallino, psicanalista e Consulente Tecnico presso il Tribunale di Bari.
D&F
“Lei frequentemente viene chiamata in Tribunale dal Giudice che cura i processi di separazione o divorzio per svolgere delle Consulenze Tecniche sui Minori. Con quali finalità?”
Dott.ssa Vallino
“I casi più frequenti riguardano la regolamentazione dei rapporti genitori figli in casi di separazione coniugale. Con riferimento specifico alla normativa sull’affido condiviso, i genitori vengono richiamati ad essere, malgrado la fine della loro convivenza, “genitori insieme”, dal momento che l’affidamento condiviso viene attualmente considerato e applicato quale regola generale rispetto all’affidamento monogenitoriale, che è l’eccezione. Il genitore che si oppone a tale forma di affidamento deve fornire elementi validi con l’esito sicuramente di essere sottoposto, insieme al coniuge e al figlio e/o figli, ad una consulenza tecnica d’ufficio”.
D&F
“Secondo la sua esperienza, come reagiscono i figli in casi di separazione estremamente conflittuale?”
Dott.ssa Vallino
“L’esperienza professionale dimostra che le coppie conflittuali rischiano di smarrirsi in un labirinto di odio e di rivendicazioni per decine di anni, condizione che impedisce loro di ritrovare l’apertura psicologica per riprogettarsi in quanto coppia genitoriale, una volta che il legame coniugale è venuto meno. Assurdamente, l’intervento della giustizia può essere utilizzato dagli ex coniugi per mettere in atto, in forma legalizzata, una serie di violenze, estorsioni e ritorsioni reciproche che sembrano essere prioritarie rispetto al benessere psicofisico dei propri figli.
Sono molti i c.d. “abusi emotivi” subiti dai minori e che si compendiano in sindromi da separazione genitoriale. Un tempo si ascriveva alle sole genitrici un comportamento manipolatorio nei confronti dei figli, così come la vessazione del partner attraverso accuse gravi ed infondate. L’esperienza insegna che le donne e gli uomini, quando non riescono ad elaborare la fine della propria relazione, sono capaci, anche inconsapevolmente, di andare contro la legge o di sfruttarne ogni piega pur di danneggiare il proprio ex.
I figli, in tali scenari, purtroppo frequentissimi, si dimostrano personalmente coinvolti in una campagna di denigrazione non sostenuta da elementi realistici”
DeF
“In concreto, il suo incarico come viene svolto in questi casi?”
Dott.ssa Vallino
“Se i quesiti sottoposti dal Giudice vertono sulla collocazione del minore presso uno o l’altro genitore, sulla regolamentazione delle modalità di frequentazione del non collocatario, la mia funzione è principalmente quella di valutare gli elementi di rischio connessi ad una variazione eventuale delle condizioni di vita del minore. Per esempio: passare da un genitore all'altro, da uno stile di vita ad un altro e così via.
Altro punto fondamentale è verificare se il minore sia semplicemente oggetto di una contesa o il destinatario di una affettività (da parte dei genitori) sana e rispondente alle sue reali necessità.”
DeF
“Con quale modalità Lei ascolta i minori”?
Dott.ssa Vallino
“Il ruolo del Ctu è essenzialmente valutativo e la metodologia utilizzata deriva dai riferimenti teorici e dalla formazione da questi acquisita. Generalmente, quando non si chieda esplicitamente di effettuare valutazioni diagnostiche sulla personalità dei soggetti interessati, vengono esaminate le modalità con cui il minore si rapporta a ciascun genitore al fine di indagare lo stile di attaccamento ed eventuali aree conflittuali.
Importante, dopo avere raccolto le informazioni (cd. anamnestiche) attraverso gli adulti, procedere all’osservazione diretta del comportamento. Se l’età lo consente, utilizzare il colloquio, sempre da adattarsi alle capacità cognitive ed espressive del soggetto in esame”
DeF
“I CTU come Lei, si avvalgono di test che tanto fanno paura ai genitori?”
Dott.ssa Vallino
“Può essere utile il ricorso a test proiettivi grafici, che non hanno nulla di “sconvolgente”, anche perché sono stati concepiti per i bambini. Molti test poi, sono strutturati in forma di “gioco”, pur consentendo una lettura delle dinamiche profonde che regolano l’affettività dei minori. Con o senza il ricorso al test, un bravo esaminatore dovrebbe accedere ai vissuti di un bambino senza alterarne la spontaneità. In ogni caso, si tenta sempre di instaurare una buona alleanza con lui, per evitare che subisca uno stress da valutazione o si senta implicato in processi di scelta decisionale riguardanti l’uno o l’altro genitore. Il minore, secondo me, deve essere sempre messo in condizioni di esprimersi in maniera autentica, senza temere di essere punito per aver disatteso le aspettative di un adulto, sia esso un genitore o un esaminatore”.
Ringraziamo la dott.ssa Vallino per averci introdotto nel complesso mondo delle indagini peritali che riguardano i minori.
Fonte: Diritto & Famiglia
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D&F
“Lei frequentemente viene chiamata in Tribunale dal Giudice che cura i processi di separazione o divorzio per svolgere delle Consulenze Tecniche sui Minori. Con quali finalità?”
Dott.ssa Vallino
“I casi più frequenti riguardano la regolamentazione dei rapporti genitori figli in casi di separazione coniugale. Con riferimento specifico alla normativa sull’affido condiviso, i genitori vengono richiamati ad essere, malgrado la fine della loro convivenza, “genitori insieme”, dal momento che l’affidamento condiviso viene attualmente considerato e applicato quale regola generale rispetto all’affidamento monogenitoriale, che è l’eccezione. Il genitore che si oppone a tale forma di affidamento deve fornire elementi validi con l’esito sicuramente di essere sottoposto, insieme al coniuge e al figlio e/o figli, ad una consulenza tecnica d’ufficio”.
D&F
“Secondo la sua esperienza, come reagiscono i figli in casi di separazione estremamente conflittuale?”
Dott.ssa Vallino
“L’esperienza professionale dimostra che le coppie conflittuali rischiano di smarrirsi in un labirinto di odio e di rivendicazioni per decine di anni, condizione che impedisce loro di ritrovare l’apertura psicologica per riprogettarsi in quanto coppia genitoriale, una volta che il legame coniugale è venuto meno. Assurdamente, l’intervento della giustizia può essere utilizzato dagli ex coniugi per mettere in atto, in forma legalizzata, una serie di violenze, estorsioni e ritorsioni reciproche che sembrano essere prioritarie rispetto al benessere psicofisico dei propri figli.
Sono molti i c.d. “abusi emotivi” subiti dai minori e che si compendiano in sindromi da separazione genitoriale. Un tempo si ascriveva alle sole genitrici un comportamento manipolatorio nei confronti dei figli, così come la vessazione del partner attraverso accuse gravi ed infondate. L’esperienza insegna che le donne e gli uomini, quando non riescono ad elaborare la fine della propria relazione, sono capaci, anche inconsapevolmente, di andare contro la legge o di sfruttarne ogni piega pur di danneggiare il proprio ex.
I figli, in tali scenari, purtroppo frequentissimi, si dimostrano personalmente coinvolti in una campagna di denigrazione non sostenuta da elementi realistici”
DeF
“In concreto, il suo incarico come viene svolto in questi casi?”
Dott.ssa Vallino
“Se i quesiti sottoposti dal Giudice vertono sulla collocazione del minore presso uno o l’altro genitore, sulla regolamentazione delle modalità di frequentazione del non collocatario, la mia funzione è principalmente quella di valutare gli elementi di rischio connessi ad una variazione eventuale delle condizioni di vita del minore. Per esempio: passare da un genitore all'altro, da uno stile di vita ad un altro e così via.
Altro punto fondamentale è verificare se il minore sia semplicemente oggetto di una contesa o il destinatario di una affettività (da parte dei genitori) sana e rispondente alle sue reali necessità.”
DeF
“Con quale modalità Lei ascolta i minori”?
Dott.ssa Vallino
“Il ruolo del Ctu è essenzialmente valutativo e la metodologia utilizzata deriva dai riferimenti teorici e dalla formazione da questi acquisita. Generalmente, quando non si chieda esplicitamente di effettuare valutazioni diagnostiche sulla personalità dei soggetti interessati, vengono esaminate le modalità con cui il minore si rapporta a ciascun genitore al fine di indagare lo stile di attaccamento ed eventuali aree conflittuali.
Importante, dopo avere raccolto le informazioni (cd. anamnestiche) attraverso gli adulti, procedere all’osservazione diretta del comportamento. Se l’età lo consente, utilizzare il colloquio, sempre da adattarsi alle capacità cognitive ed espressive del soggetto in esame”
DeF
“I CTU come Lei, si avvalgono di test che tanto fanno paura ai genitori?”
Dott.ssa Vallino
“Può essere utile il ricorso a test proiettivi grafici, che non hanno nulla di “sconvolgente”, anche perché sono stati concepiti per i bambini. Molti test poi, sono strutturati in forma di “gioco”, pur consentendo una lettura delle dinamiche profonde che regolano l’affettività dei minori. Con o senza il ricorso al test, un bravo esaminatore dovrebbe accedere ai vissuti di un bambino senza alterarne la spontaneità. In ogni caso, si tenta sempre di instaurare una buona alleanza con lui, per evitare che subisca uno stress da valutazione o si senta implicato in processi di scelta decisionale riguardanti l’uno o l’altro genitore. Il minore, secondo me, deve essere sempre messo in condizioni di esprimersi in maniera autentica, senza temere di essere punito per aver disatteso le aspettative di un adulto, sia esso un genitore o un esaminatore”.
Ringraziamo la dott.ssa Vallino per averci introdotto nel complesso mondo delle indagini peritali che riguardano i minori.
Fonte: Diritto & Famiglia
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ANDROID: NOKIA, MICROSOFT E ORACLE DENUNCIANO GOOGLE
Fonte: pc-facile - Android - Articolo Completo |
La Commissione è nel mezzo di un'inchiesta per determinare se le pratiche di Google nel campo del search siano scorrette o meno. FairSearch, i cui membri sono tutti in qualche modo concorrenti di Google, spera di aumentare la pressione sul gigante di Mountain View al momento in cui la Commissione dovrà prendere una decisione. Ricordiamoci che Google ha già dovuto implementare delle modifiche, richieste dalla Commissione Europea, a causa del consolidamento delle privacy policy.
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L'editoriale di Diritto & Famiglia
L'ottimismo della ragione, l'ottimismo della volontà.
(Diritto & Famiglia) di Enrico Franceschetti
Il nostro, è un paese depresso.
Non per la situazione economica, che pure ristagna da troppo tempo e che vede troppe persone soffrire seriamente per mancanza di lavoro e di redditi sufficienti.
Non per la situazione politica, pur confusa ed incomprensibile alla gente comune, che guarda attonita la classe dirigente operare scelte lontane dai bisogni della nazione, e combattere battaglie private che lasciano, quali uniche vittime, le istituzioni e lo stato.
No. Il nostro paese è depresso perché si sente male. Vive con dolore ogni giorno, si dibatte fra mille impossibilità, si sforza di sopravvivere senza una prospettiva che infonda speranza.
Senza speranza, è noto, si muore.
Come accade ad ogni depresso, il nostro paese è alla ricerca delle colpe, del responsabile di tutto questo disagio. E lo trova oggi in quel politico, domani in quella categoria, dopodomani in quella cultura.
Così, ci si fraziona sempre più, ci si allontana gli uni dagli altri, ci si divide in gruppi e fazioni, si perde quindi il senso comune che è l'unico, da sempre, a costituire la forza e la risorsa speciale della razza umana.
Si pone al di fuori di noi il potere di influire sul futuro, magari aspettando che giunga un salvatore, un dux, a mettere le cose a posto. Ma se il condottiero illuminato non arriva (e la storia ci ha insegnato che, quand'anche arrivi, di solito non riesce nemmeno a salvare se stesso) si langue in una rete di rancori, di ostilità e di veti reciproci, che delegittimano ma non costruiscono.
Sarebbe probabilmente interessante approfondire questa analisi, ma temo di abusare della pazienza dei lettori e soprattutto di uscire dall'ambito nel quale siamo: il mondo della famiglia.
In esso vediamo specchiarsi tutte le dinamiche della società, probabilmente perchè ne è l'unità base. Se la famiglia (intesa come centro di interessi affettivi, indipendentemente dai soggetti che la compongono) non funziona, non funziona tutto il resto.
Può non piacere ideologicamente, ma è così che va.
Ecco allora che la "famiglia tipo" è depressa, perché preda anch'essa delle sofferenze comuni al resto del paese, e trova che "tutti gli uomini sono inetti ed egoisti, si disinteressano ai figli e sono violenti", oppure che "tutte le donne usano i figli come arma per ottenere assegni alimentari più alti", o magari che "tutte le leggi sono partigiane" a favore di uomini o donne a seconda di chi compia l'osservazione... e via discorrendo di questo passo.
Eppure, come scriveva, ad altro proposito, Gian Antonio Stella sul Corriere di ieri, "è rischioso giocare con la parola -tutti-" perché induce a ragionare per schieramenti, per interessi, e non per comprendere e risolvere i problemi.
Smettere di ragionare per fazioni, per categorie, per gruppi, è il primo passo per ritrovare la giusta consapevolezza del nostro potere, che è assai più ampio di quanto si creda, individualmente considerando.
Volete un esempio? Bene: soffermiamoci sul più classico dei casi.
Chi obbliga due coniugi in crisi a confrontarsi sul piano giudiziale affidandosi a soggetti terzi per dirimere imperativamente i propri conflitti? E' forse "colpa" della legge? O magari del cattivo avvocato che li incita, per far lievitare la parcella? O del sistema giudiziario che ha interesse a fare più processi possibile per ottenere potere? O di chi altri?
Queste sono le considerazioni che si leggono sui post, sui blog, nei forum. Mai uno che dica si, ho scelto una giudiziale perché l'ho voluto io... ed il disastro che ne è seguito, è opera mia.
Comprendere la propria responsabilità, è il primo passo per riappropriarsi del potere di decidere e scegliere in autonomia: in definitiva, è il primo passo per non aspettare soluzioni che vengano da fuori, da un "saggio", da "un'autorità", decidendo invece di essere padroni delle proprie decisioni e capaci di influire sulla propria vita secondo le proprie convinzioni.
Nel caso di esempio, oggi ci sono metodologie di mediazione efficaci ed operatori competenti che possono sostenere coniugi in conflitto, accompagnandoli; sono percorsi e metodi che ottengono risultati, oggettivi e documentati, infinitamente più efficaci a rendere la vita di tutti i soggetti coinvolti nel conflitto molto, molto, molto migliore. Basta solo scegliere di farne uso.
In questo modo, avvocati, o tribunali, o qualunque altra categoria si voglia individuare quale capro espiatorio di turno, perderebbero il "potere" di condizionarci, di farci del male, visto che saremmo noi a portare loro la soluzione del nostro conflitto, e non viceversa.
Ciò vale per la famiglia, ma anche per la società, per la politica. Abbandonarsi al "ghe pensi mi" di altri, è pericoloso. Come chiudere gli occhi e tuffarsi senza avere idea di cosa ci sia sotto, ad aspettarci. Riconquistare il potere di decidere in prima persona, è indispensabile per essere padroni della propria vita.
Riconquistare il potere di decidere, significa smettere di ragionare per categorie preferendo ad esse le persone e le loro responsabilità. Significa smettere di delegare e ricominciare a costruire in proprio. Significa, cioè, abbandonare la depressione e ritrovare l'ottimismo; quello della ragione, quello della volontà.
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(Diritto & Famiglia) di Enrico Franceschetti
Il nostro, è un paese depresso.
Non per la situazione economica, che pure ristagna da troppo tempo e che vede troppe persone soffrire seriamente per mancanza di lavoro e di redditi sufficienti.
Non per la situazione politica, pur confusa ed incomprensibile alla gente comune, che guarda attonita la classe dirigente operare scelte lontane dai bisogni della nazione, e combattere battaglie private che lasciano, quali uniche vittime, le istituzioni e lo stato.
No. Il nostro paese è depresso perché si sente male. Vive con dolore ogni giorno, si dibatte fra mille impossibilità, si sforza di sopravvivere senza una prospettiva che infonda speranza.
Senza speranza, è noto, si muore.
Come accade ad ogni depresso, il nostro paese è alla ricerca delle colpe, del responsabile di tutto questo disagio. E lo trova oggi in quel politico, domani in quella categoria, dopodomani in quella cultura.
Così, ci si fraziona sempre più, ci si allontana gli uni dagli altri, ci si divide in gruppi e fazioni, si perde quindi il senso comune che è l'unico, da sempre, a costituire la forza e la risorsa speciale della razza umana.
Si pone al di fuori di noi il potere di influire sul futuro, magari aspettando che giunga un salvatore, un dux, a mettere le cose a posto. Ma se il condottiero illuminato non arriva (e la storia ci ha insegnato che, quand'anche arrivi, di solito non riesce nemmeno a salvare se stesso) si langue in una rete di rancori, di ostilità e di veti reciproci, che delegittimano ma non costruiscono.
Sarebbe probabilmente interessante approfondire questa analisi, ma temo di abusare della pazienza dei lettori e soprattutto di uscire dall'ambito nel quale siamo: il mondo della famiglia.
In esso vediamo specchiarsi tutte le dinamiche della società, probabilmente perchè ne è l'unità base. Se la famiglia (intesa come centro di interessi affettivi, indipendentemente dai soggetti che la compongono) non funziona, non funziona tutto il resto.
Può non piacere ideologicamente, ma è così che va.
Ecco allora che la "famiglia tipo" è depressa, perché preda anch'essa delle sofferenze comuni al resto del paese, e trova che "tutti gli uomini sono inetti ed egoisti, si disinteressano ai figli e sono violenti", oppure che "tutte le donne usano i figli come arma per ottenere assegni alimentari più alti", o magari che "tutte le leggi sono partigiane" a favore di uomini o donne a seconda di chi compia l'osservazione... e via discorrendo di questo passo.
Eppure, come scriveva, ad altro proposito, Gian Antonio Stella sul Corriere di ieri, "è rischioso giocare con la parola -tutti-" perché induce a ragionare per schieramenti, per interessi, e non per comprendere e risolvere i problemi.
Smettere di ragionare per fazioni, per categorie, per gruppi, è il primo passo per ritrovare la giusta consapevolezza del nostro potere, che è assai più ampio di quanto si creda, individualmente considerando.
Volete un esempio? Bene: soffermiamoci sul più classico dei casi.
Chi obbliga due coniugi in crisi a confrontarsi sul piano giudiziale affidandosi a soggetti terzi per dirimere imperativamente i propri conflitti? E' forse "colpa" della legge? O magari del cattivo avvocato che li incita, per far lievitare la parcella? O del sistema giudiziario che ha interesse a fare più processi possibile per ottenere potere? O di chi altri?
Queste sono le considerazioni che si leggono sui post, sui blog, nei forum. Mai uno che dica si, ho scelto una giudiziale perché l'ho voluto io... ed il disastro che ne è seguito, è opera mia.
Comprendere la propria responsabilità, è il primo passo per riappropriarsi del potere di decidere e scegliere in autonomia: in definitiva, è il primo passo per non aspettare soluzioni che vengano da fuori, da un "saggio", da "un'autorità", decidendo invece di essere padroni delle proprie decisioni e capaci di influire sulla propria vita secondo le proprie convinzioni.
Nel caso di esempio, oggi ci sono metodologie di mediazione efficaci ed operatori competenti che possono sostenere coniugi in conflitto, accompagnandoli; sono percorsi e metodi che ottengono risultati, oggettivi e documentati, infinitamente più efficaci a rendere la vita di tutti i soggetti coinvolti nel conflitto molto, molto, molto migliore. Basta solo scegliere di farne uso.
In questo modo, avvocati, o tribunali, o qualunque altra categoria si voglia individuare quale capro espiatorio di turno, perderebbero il "potere" di condizionarci, di farci del male, visto che saremmo noi a portare loro la soluzione del nostro conflitto, e non viceversa.
Ciò vale per la famiglia, ma anche per la società, per la politica. Abbandonarsi al "ghe pensi mi" di altri, è pericoloso. Come chiudere gli occhi e tuffarsi senza avere idea di cosa ci sia sotto, ad aspettarci. Riconquistare il potere di decidere in prima persona, è indispensabile per essere padroni della propria vita.
Riconquistare il potere di decidere, significa smettere di ragionare per categorie preferendo ad esse le persone e le loro responsabilità. Significa smettere di delegare e ricominciare a costruire in proprio. Significa, cioè, abbandonare la depressione e ritrovare l'ottimismo; quello della ragione, quello della volontà.
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DONNE PER LA SICUREZZA ONLUS - LA BATTAGLIA
COMUNICATO STAMPA
Valdinievole: progetto recupero della capacità genitoriale tra inerzia del Tribunale dei Minorenni e cattivo utilizzo dei soldi pubblici destinati ai Servizi Sociali. Continua a tener banco la storia della sig.ra R.C. e del suo bambino N., affidato dal Tribunali per i Minorenni di Firenze ai Servizi Sociali della Valdinievole.Ad indignare l’opinione pubblica è questo, l’ennesimo caso di un piccolo che viene collocato dal Tribunale dei Minorenni in una "struttura familiare" gestita da un prete e da una educatrice, e che si trova a vivere insieme ad altri 3 ragazzi che hanno il doppio della sua età ed una cultura completamente diversa dalla sua in contrasto aperto con un progetto di recupero e sviluppo armonico della personalità del piccolo. Ed è proprio questa ennesima vicenda di violazione dei diritti dei minori che ha portato l’avvocato Marco Valerio Verni, penalista di Roma e l’Associazione Donne per la Sicurezza onlus, ad appoggiare e sostenere la battaglia di questa mamma contro i Servizi Sociali della Valdinievole per far tornare N. alla sua vita di bambino e a casa dalla sua mamma.
Battaglia legale che si snoda tra istanze, ricorsi e carte bollate per chiedere ed ottenere risposte da parte del Tribunale dei Minorenni di Firenze che dal 2010 ha disposto l’affidamento del minore in questione ai Servizi Sociali, dando loro anche il preciso incarico di porre in essere interventi di sostegno e controllo finalizzati anche al recupero della capacità genitoriale della mamma del piccolo ma di questi protocolli terapeutici e di sostegno per mantenere, recuperare o migliorare il rapporto tra il bambino ad essi affidato ed i suoi genitori, ciò nel pieno rispetto del diritto naturale alla genitorialità, non esiste alcuna traccia.
Unico dato positivo è la calendarizzazione degli incontri ed un aumento, in termini di tempo, della loro durata (da 30 a 45 minuti) del tempo di visita settimanale della mamma con il figlio.
Ma, naturalmente, ciò non può bastare, ed al momento ancora non abbiamo avuto risposte, né dal Tribunale per i Minorenni, né dai Servizi Sociali sull'esistenza del progetto di recupero della genitorialità, sulla durata dello stesso e sul perché, a distanza di quasi tre anni dal primo provvedimento di affidamento del minore agli stessi Servizi, ancora non si abbiano certezze di quando il bambino potrà rientrare in famiglia.
Una denuncia che l’avv. Marco Valerio Verni sta portando avanti non soltanto a livello giudiziario ma anche attraverso la compiuta azione politica di un consigliere di Borgo a Buggiano, Giacomo Grifò, intento a scoprire come vengono effettivamente spesi i soldi pubblici destinati ai servizi sociali.
Il legale non esclude, però, la possibilità di un ricorso alla Corte Europea di Strasburgo, forti anche della recente sentenza Lombardo che ha evidenziato, in modo imbarazzante, l’inadeguatezza dei nostri tribunali minorili nonché degli stessi servizi sociali, specificando che, nelle questioni di diritto di famiglia, andrebbe sempre garantita l’adeguatezza delle misure adottate dalle autorità e la loro rapidità di esecuzione.
Associazione DONNE PER LA SICUREZZA ONLUS
Sede Legale: Via Dacia n. 18 - 00183 Roma
C.F. 97600100586
e-Mail: b.cerusico@donneperlasicurezzaonlus.it
Tel. 388.1797.411
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Salviamo i Nostri Ragazzi !
MARO' - Il comandante in seconda:
''Non sono stati i Marò a colpire i pescatori''.
Filmato Intervista Comandante ! |
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