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Follia e Tecnologia !

Sicurezza nei trasporti - la tecnologia ICT può eliminare i rischi dovuti alla follia? di Roberto Vacca.

Forse il disastro dell’aereo German Wings è stato causato dalla follia del co-pilota. Una intelligenza artificiale sovrapposta al  pilota automatico avrebbe potuto evitarlo? 

L’ingegneria dei sistemi detta la regola "Don’t cater for extremely low probability events” = Non dotare il sistema di funzioni mirate a gestire eventi di probabilità estremamente bassa". 
La follia di un pilota ha probabilità evanescente. Può manifestarsi in tempi minimi - nei quali un sistema sofisticato potrebbe essere inadeguato a reagire. In alcuni anni in tutta Europa è accaduto che non vi sia stato nemmeno un incidente  mortale in TUTTI i voli di linea. Un sistema di supervisione e sicurezza contro evento improbabilissimo come la follia suicida di un pilota, possiamo immaginarlo - ma se tentiamo di dotarlo di funzioni di giudizio sui comandi, le intenzioni, o le reazioni a emergenze poco prevedibili, rendiamoci conto che tenteremmo di costruire un sistema di controllo di una complicazione tale da impedire di capire, giudicare, “override” in tempo le decisioni che il sistema prende in frazioni di secondo. Avere buone intenzioni non basta, occorre capire che la complessità molto spinta è già in se una fonte di rischio. Queste considerazioni si applicano anche ai treni ad alta velocità e alle auto self drive di cui si parla tanto. Sono argomenti seri di cui non si può parlare in un articolo e tanto meno in un chat improvvisato o in un tweet.
Calma e riflessione, facciamo discutere gli esperti e critichiamoli col tempo necessario. 
Taluno sostiene che andrebbe azzerato ogni rischio. È questo un sintomo grave dell'ignoranza diffusa sui rischi e sui modi per difendersene. Così proponendo un fine impossibile, si disinforma il pubblico, mentre, invece, la sicurezza sta aumentando di continuo in quasi ogni settore. È certo bene istituire anche  bilanci rischi/benefici. I benefici si quantificano in termini di assorbimento di overhead e utile prodotto. I rischi si valutano come prodotto del danno per la probabilità che si verifichi. Il danno è definito come l'onere che un'azienda sopporta per risarcire clienti o terzi che hanno subito traumi, menomazioni o danni alle cose a causa di malfunzione di prodotti dell' azienda. Certo la malfunzione deve essere almeno colposa. Si deve dimostrare, cioè, che non è stata resa impossibile, mentre avrebbe potuto esserlo. L'entità massima del danno si può prevedere in casi semplici, ad esempio in base all'energia totale che può essere rilasciata in tempi brevi: dalla conflagrazione di combustibili immagazzinati o trasportati, dalla fuoriuscita di acqua contenuta in un bacino, dall'energia cinetica di masse in moto (veicoli) in caso di collisioni.
Però l'energia (meccanica o elettrica) che basta a uccidere un uomo è di minime frazioni di Wattora: dunque i meccanismi di rischio sono più importanti delle quantità in gioco.   
Una regola empirica suggerisce di non considerare rischi di morte nella popolazione di un paese che  siano inferiori a una  morte/anno per ogni milione di abitanti, né rischi occupazionali inferiore a una morte/anno per ogni 100.000 lavoratori. Per l'Italia queste cifre sono rispettivamente 57 e 200. Per confronto ricordiamo che in Italia (2009) ogni anno muoiono circa 5.000 persone in incidenti di traffico, circa 12.000 per cadute, 200 di AIDS e 165.000 di cancro. Per accumulare una probabilità di morte di uno su un milione è necessario, quindi, un tempo di 4 giorni per incidenti di traffico e 1,7 per cadute. Questo tempo cresce a 2 mesi per l'elettrocuzione, a 2 anni per la morte causata dal fulmine e 4 anni per la morte causata dalla puntura o dal morso di un animale.
Il pubblico capisce poco i rischi. Esempio:  i viaggi in auto sono più pericolosi di quelli in aereo. In Italia dal 1972 al 2008 il numero di  morti in incidenti di traffico è calato del 65% (nel '72 i morti erano 14.000). Anche i decisori aziendali e pubblici capiscono poco i  rischi. Pochi sanno calcolare la probabilità di morire volando 100.000 volte  e supponendo che in ogni volo la probabilità sia 1 su 100.000. 
(È  solo  il 63,2% = 1 - 0,99999 alla centomillesima potenza).
La percezione soggettiva dei rischi rispecchia realtà distorte. Si investono cifre  enormi per  ridurre rischi già  bassi, come  quello delle radiazioni nucleari in centrali e centri di ricerca. Si investono cifre alte per ridurre le morti  in incidenti stradali. Si investe poco contro il cancro e nulla per evitare le morti dovute a cadute. I rischi industriali calano rapidamente, ma non lo si nota proprio perché sono bassi e continuano a ridursi. 
I rischi sistemici  più complessi  (blocchi dei sistemi  di  trasporto, energia, comunicazioni) sono difficili da valutare e neutralizzare.
La complessità enorme e crescente rende difficile progettare la sicurezza nei sistemi prevedendo ogni condizione futura di funzionamento. La sfida tecnica e teorica è appassionante. Sarebbe vitale accettarla e vincerla, ma non abbiamo soluzioni da manuale: occorre inventarle.
Vanno integrati i progetti dei vari sistemi valutando i rischi di ciascuno e la loro trasmissione tra aree fisiche e settori. Vanno addestrati utenti e operatori a riconoscere emergenze impreviste e a reagire adeguatamente. Vanno ottimizzate le comunicazioni per ottenere monitoraggio e controllo intersistemico e va reso trasparente il software di controllo onde distinguere se i guasti hanno origine nello hardware, nei canali di comunicazione o nel software. A tal fine va analizzata la storia di tutti i blackout, le crisi sistemiche, le emergenze dovute ad atti terroristici e vandalici. 
Su questa base vanno formulati scenari quantitativi dettagliati. Vanno sviluppati, analizzati criticamente e validati modelli matematici dell’interdipendenza fra sistemi e della proliferazione di guasti, emergenze e interruzioni dei servizi. E’ compito arduo e critico: alcune variabili non sono note o si presentano in modo casuale. I meccanismi possono essere arguiti, non calcolati. 

Religione, violenza, avidità, menti distorte.

di Roberto Vacca - Roma, 7 Settembre  2014.
È male esercitare o minacciare violenza estrema, ma lo vediamo fare ovunque, anche in nome di religioni. Taluno suggerisce che siano violenti solo i religiosi incolti, primitivi, deviati, incattiviti. Però i religiosi più colti ed evoluti fanno poco o niente per fermare i violenti. Non apprezzano nemmeno l’immane entità del rischio della guerra nucleare: la morte di miliardi di umani. 
Roberto Vacca
La religione non serve a evitare la violenza. Da secoli soldati cristiani hanno ucciso altri soldati cristiani. Cristiani o musulmani di diverse denominazioni si ammazzano a migliaia. Certi musulmani ne uccidono altri di diverse denominazioni, se non si convertono e decapitano giornalisti. Anche certi monaci buddisti uccidono musulmani in Myanmar. Teshoo, il lama di Kim, raccontava di cruente battaglie per motivi dottrinali fra monaci armati con i loro astucci in bronzo per i pennelli. Perfino il Dalai Lama nel 1998 approvò i test di armi nucleari fatti dall’India.
Nove Nazioni detengono armi atomiche che potrebbero uccidere miliardi di persone, ma i grandi capi religiosi non lanciano anatemi (solo le Isole Marshall hanno intentato azione legale contro di esse). [1]
Credenze religiose peculiari, anche non violente, vengono abbracciate anche da alcune persone di cultura e intelligenza superiore. Un esempio estremo che ho conosciuto personalmente è quello di Abdus Salam, premio Nobel per la fisica, fondatore del Centro di Fisica Teorica di Trieste che ha addestrato decine di migliaia di fisici del III Mondo, Grande scienziato, colto, brillantissimo ragionatore - era un fedele Ahmadiya (seguace di Ghulan Ahmad (1835-1906) ritenuto la reincarnazione di Maometto, Gesù Cristo e Vishnu).
Non c’è da meravigliarsi troppo, dunque, che persone semplici e incolte distorcano gli insegnamenti religiosi e siano violente anche in modi orrendi e anche dopo aver avuto esperienza di società pacifiche.
Il problema è tragico. Non ha senso combattere la religione perché certi religiosi sono violenti. Io la combatto perché, più in generale, induce i credenti a divorziare dalla realtà. Comunque violenze estreme di ogni tipo sono state e continuano a essere esercitate da non religiosi. Anche questi sono coriacei e rifiutano ogni argomento razionale.
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[1]  Gli Accordi per la Limitazione delle Armi Strategiche ci misero decenni per fare passi mirati a eliminare le armi nucleari. Al colmo della guerra fredda il potenziale distruttivo contenuto negli arsenali nucleari equivaleva a 4,5 tonnellate di alto esplosivo per ogni essere umano sulla terra. Dopo il disarmo parziale, quel potenziale è ora di 700 kilogrammi di alto esplosivo per ciascuno di noi. [1 kg dell’alto esplosivo PETN, pentaeritroltetranitrato, esplode producendo energia di 1,6 kWh;  700 kg di PETN per ogni essere umano svilupperebbero l’energia di 1000 kWh, cioè un milione di volte maggiore di quella sufficiente a uccidere un uomo, che è di circa 1 Wh]

Non c’è da sperare che gli uomini si astengano da guerre e violenze dopo aver letto un appello o un manifesto, per quanto ispirato, abile, documentato, commovente.
Sto scrivendo, quindi, un racconto di fantascienza in cui un grande pensatore progetta e diffonde con successo un piano rivolto ai credenti di ogni fede o convinzione. Conservino le loro credenze come tesori personali, similitudini consolatorie e rimembranze degli antenati, ma non le confondano con la realtà oggettiva. Non disprezzino, né compiangano chi non le condivide. Non le impongano agli altri con la forza. Se lo fanno, causano sconcerti penosi, negano verità, producono sofferenze, malvagità, ritorsioni. Trovino conforto personale in citazioni (che si trovano quasi in ogni tipo di fede) che incitano alla pace e alla concordia.
Il grande pensatore riesce anche a riordinare le menti del pubblico e dei decisori. I suoi argomenti esplicitano gli stati mentali e le opinioni, esplicitano le contraddizioni fra di essi, le eliminano. Riducono fortemente la “abominevole fame dell’oro” Instillano, logica, senso comune, modi per prevedere sviluppi futuri, mirare a vantaggi condivisi (evitando quelli che, invece, a lungo termine sono seguiti da danni enormi a se e agli altri.
Appunto: è fantascienza.