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sabato 28 novembre 2020

QUESTIONI DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELLA NOTIFICA TRAMITE PEC.

In primis partiamo dal Principio costituzionale che un atto giuridico per avere effetto deve essere conosciuto dal destinatario.

Attualmente in Italia si verifica ( ed è assurdo che nessuno lo denunci ) un monstrum giuridico, e cioè che un atto impositivo, notificato con PEC, ha effetto nel momento che il gestore del servizio pec consegni l’atto trasmesso all’indirizzo PEC del destinatario ( cd ricevuta di consegna ) a prescindere che il destinatario apra e legga o meno la propria PEC: quindi l'atto così trasmesso ha effetto nei suoi confronti anche se il destinatario medesimo non venga mai a conoscenza dell’atto (cioè anche se non legga mai la PEC!). 

Qui sorgono questioni molto gravi e pericolose , che ledono diversi principi tutelati dalla nostra Costituzione.

In prima battuta, poiché per legge la PEC è paragonata alla raccomandata cartacea ordinaria, questa dovrebbe avere come minimo gli stessi effetti e funzionamenti della stessa.

In altre parole secondo le norme oggi vigenti se un atto impositivo viene notificato con raccomandata ordinaria cartacea ed il destinatario non viene trovato dal messo notificatore al proprio indirizzo di residenza, ad esempio il giorno X, questi è tenuto a lasciare un avviso per il ritiro dell’atto presso l’ufficio postale nei successivi 10 gg.

Il destinatario che ritira successivamente presso l’ufficio postale, ad esempio nel giorno x + 10, avrà l’effetto della notifica dell’atto dal giorno x +10 (= c.d. principio della scissione degli effetti della notifica).

Da qui si noti come questa procedura della raccomandata tradizionale rispetti il principio costituzionale della conoscenza da parte del destinatario ai fini degli effetti della notifica di un atto impositivo.

Quindi perché la notifica tramite PEC è efficace a prescindere dalla conoscenza da parte del destinatario ?

Se si vuole tutelare il diritto, quanto meno si deve attuare una equiparazione tra la notifica tramite PEC e la notifica tradizionale e quindi riconoscere un effetto alla notifica pec quanto meno pari a quella tradizionale, come ad esempio stabilire l’effetto a partire dal decimo giorno della ricevuta di consegna della PEC come ragionevole lasso di tempo per permettere al destinatario di conoscere l’atto con l'apertura della propria PEC, né più né meno di quanto accade con la procedura cartacea !

Se ciò non accade viene leso il diritto di difesa e il diritto di uguaglianza : il primo perché non conoscendo da cosa ci si deve difendere si rischia di incorrere in preclusioni e decadenze irrimediabili; il secondo perché vengono trattate in modo diverso situazioni identiche solo perché la notifica è eseguita in un modo piuttosto che in un altro (il cittadino a cui vene notificato l'atto con raccomandata ordinaria ha più tutele del quello a cui viene notificato lo stesso atto con la pec  che invece rischia senza rimedio le conseguenze dell'atto perché le ha subite senza saperlo o senza saperlo per tempo ! ).    

Altro principio che viene violato è che il notificatore della pec non è un pubblico ufficiale , ma un soggetto privato , cioè il gestore del servizio pec, e quindi la ricevuta di avvenuta notifica non ha valore di Pubblica fede .

Altro principio che viene violato è quello che il destinatario della pec non può scegliere tempi e modi di ricezione in quanto questo tipo di notifica non rende operative le norme della irreperibilità assoluta e relativa: si pensi al destinatario che abbia smarrito le password per accedere alla pec o peggio al destinatario che è impossibilitato perché ad esempio ricoverato in ospedale .

Con l’evoluzione tecnologica nell’ordinamento si è quindi realizzato un diritto nuovo di cui sorge la necessità di una puntuale regolamentazione, ed è il diritto alla disconnessione : non è possibile essere obbligati ad essere connessi ad internet in ogni momento del giorno e dell'anno come invece attualmente presume , o meglio pretende, l’effetto della notifica PEC! i principi costituzionali messi in pericolo sono ancora una volta il diritto di difesa, il diritto di libertà, il diritto di uguaglianza .

Urge quindi un intervento del Legislatore che sul punto si è dimostrato omissivo e carente o più realisticamente occorre un intervento serio della giurisprudenza che in questo caso deve riempire un vuoto normativo come spesso ha già fatto.

E' accaduto ad esempio in ordine alla procedura esecutiva sulla prima ed unica casa da parte dell’erario: dapprima la Cassazione era intervenuta sul punto sancendo la non esecutività e poi il legislatore in seguito ha dovuto adeguarsi. Con la notifica PEC deve accadere la stessa dinamica se il legislatore non interviene direttamente, la questione è infatti di pubblico interesse, perché può colpire chiunque, operatori del diritto compresi.


Studio Commerciale e Tributario 
Antonio D'Angelo
Dottore Commercialista e Revisore Legale
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1 commento:

  1. 3. Vizi di legittimità costituzionale
    I vizi di legittimità costituzionale sono comunemente distinti in vizi formali e vizi sostanziali, a seconda che la violazione (o la non conformità) riguardi le regole costituzionali relative al procedimento di formazione e l’esternazione dell’atto legislativo, ovvero quelle che impongono un determinato contenuto normativo alla legge. Tra i vizi della legge, poi, deve farsi cenno al cosiddetto eccesso di potere legislativo, vizio elaborato traendo esempio dalla giurisprudenza amministrativa e dal vizio di eccesso di potere, configurato per valutare la correttezza dell’esercizio della discrezionalità nell’adozione dei provvedimenti amministrativi, o meglio lo sviamento o la deviazione dell’atto dal fine di interesse pubblico cui tale atto è per legge destinato. La legge impone alla Corte di escludere dal suo sindacato di legittimità costituzionale “ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento” (cfr. art. 28 l. 87/1953); con ciò si intende che la Corte non può mai sostituire la propria valutazione politica – ed in tal senso “di merito” – a quella già compiuta dal legislatore.

    Va sottolineato che, per espressa previsione legislativa, la Corte è chiamata a pronunciarsi soltanto rispetto all’oggetto ed al parametro, così come sono definiti dal giudice a quo: si deve infatti rispettare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ovvero, come dice la legge, si può decidere soltanto “nei limiti dell’impugnazione” (art. 27 l. cit.). Ma, se la Corte non può andare al di là dei confini testuali dell’oggetto e del parametro indicati dal giudice a quo, non si deve parimenti negare alla Corte autonomia interpretativa circa le disposizioni – sia legislative, che costituzionali – che le sono sottoposte. Tuttavia, per ridurre divergenze interpretative che possono dare luogo a conflitti di non facile soluzione, in ordine all’oggetto del suo giudizio la Corte tende frequentemente a privilegiare il diritto vivente (per lo meno là dove questo sia rintracciabile), vale a dire quella più diffusa interpretazione della legge che è stata già elaborata dagli organi deputati all’applicazione di quest’ultima, in specie da quelli giurisdizionali.

    Ancora, e stavolta utilizzando una deroga consentita dalla legge al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la Corte può giudicare su “altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza della decisione adottata” (art. 27, ult. cpv., l. cit.). A questa modalità di intervento della Corte, che viene definita in dottrina come illegittimità costituzionale consequenziale, si ricorre quando, nella stessa o in altra legge, si ritrovano disposizioni che riproducono il medesimo contenuto normativo della disposizione dichiarata illegittima o che sono collegate da un nesso di strumentalità o funzionalità con la norma incostituzionale, oppure ancora quando dalla dichiarazione di illegittimità consegua che la presenza di altre disposizioni legislative non sia più costituzionalmente giustificata.

    https://www.altalex.com/guide/giudizi-di-legittimita-costituzionale

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