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Comunicazioni difettose - di Roberto Vacca, Skorpio.

La studentessa carina gridò: "Professore, dica la sua frase famosa!"
Sir Charles Scott Sherrington guardò i suoi studenti di neurofisiologia. Sorridevano con affetto e ammirazione. Altri ragazzi lo pregavano:
 "Please, Sir Charles!"
: Allora il famoso premio Nobel sorrise e intonò con voce baritonale e accento di Cambridge:
"Come una Via Lattea che entri in una specie di danza cosmica, il cervello è come un telaio incantato, in cui milioni di spolette lampeggianti intessono una configurazione che si dissolve, sempre significativa, ma mutevole, una mobile armonia di subconfigurazioni."
È una frase che i neurofisiologi citano spesso. Le spolette lampeggianti degli impulsi nervosi attraversano il cervello e trasmettono immagini, messaggi, concetti, idee, parole. Pure, quando comunichiamo con parole, spesso questa struttura meravigliosa fallisce. Non ci facciamo capire. Non sono solo i discorsi fuorvianti a trasmettere informazioni false. Non è solo per ignoranza che i messaggi che generiamo divergono dalle nostre intenzioni originarie. Le comunicazioni falliscono per tante ragioni e ogni volta che non vanno a segno, ne conseguono incomprensioni, sconcerti, liti, danni emergenti e, talora, violenze e distruzioni.
Certi negativisti si sono occupati di questo importante argomento parlando di incomunicabilità. Ma non è molto utile dare nomi alle difficoltà che incontriamo. Meglio provare a scoprirne le cause e i modi di rimediare.
Nelle riunioni internazionali spesso ho difficoltà a capire i giovani britannici perché il volume della loro voce è troppo basso. Non staccano bene le parole. Mormorare così in inglese si chiama mumble ed è considerato un segno di cattiva educazione, ma lo fanno lo stesso. Il risultato per me è disastroso perchè sono un pò sordo. Le cose vanno ancora peggio se un ascoltatore proprio non vuole sentire. Una vecchia strofetta diceva:

Disse un merlo a un tordo vecchio:
 "Puoi prestarmi un po' l'orecchio?
Anzi no, per meglio dire:
puoi prestarmi mille lire?"
Gli rispose il vecchio tordo:
"Sono sordo, sono sordo."

Dunque in molti casi le comunicazioni non funzionano per cause puramente fisiche. Succede anche quando i messaggi scritti sono illeggibili. Sembra una cosa banale, ma non lo è. Vediamo una serie di situazioni frustranti.
Chi partecipa a un congresso riceve (oltre a una borsa piena di carte e depliant) un cartellino stampato con il suo nome e la sua qualifica. Se lo attacca al bavero per non diversi presentare di continuo. Quasi sempre i caratteri usati sono alti cinque o sei millimetri. Per leggerli, tocca avvicinarsi ai colleghi in modo ridicolo. Se una signora porta il cartellino vicino alla scollatura, la situazione è imbarazzante. La comunicazione continua a essere pessima se gli oratori si aiutano con diapositive o con schermate in PowerPoint. Di nuovo i caratteri sono troppo piccoli e, se non stai sotto lo schermo, non riesci a leggerli. (Peggio se le scritte sono blu su celeste o nero su grigio.) In tutti i corsi di grafica e comunicazione si insegna a progettare in modo corretto gli angoli che sottendono le scritte alla distanza a cui andranno lette. Si vede che tanti progettisti di cartelli e segnali stradali non seguono questi corsi. Ai tempi antichi le targhe coi nomi delle strade erano destinate ai pedoni che vanno lenti e si possono avvicinare quanto vogliono. Le lettere piccole andavano bene. Ora non più: se guidiamo l'auto, il tempo disponibile è poco (è inversamente proporzionale alla velocità) e non possiamo avvicinarci ai cartelli. Fanno eccezione i segnali stradali grandi e chiari delle Autostrade italiane (ma alcuni più recenti sono inadeguati). È proverbiale, infine, la pessima calligrafia dei medici: una ricetta interpretata male può essere letale.
Non si tratta, dunque, di fisime, né di galateo. Comunicare in modo comprensibile è vitale per migliorare il rendimento della società. È un modo per creare ricchezza o per non distruggerla. È prescrizione necessaria perché si sviluppi davvero la società della conoscenza.
E fin qui ho parlato solo dell'ascolto di parole e del riconoscimento delle singole lettere. Il problema è più complesso quando parliamo dei contenuti. Un testo può essere scritto in caratteri grandi e ben contrastati e pure risultare illeggibile perché è prolisso od organizzato male.
George Orwell suggerì regole per scrivere bene. Andrebbero insegnate a tutti. Eccole in breve: Fra due sinonimi scegli sempre il più corto e scegli quello della lingua in cui scrivi. Non usare modi di dire o similitudini che vedi spesso stampate (hanno perso ogni mordente). Evita parole specialistiche: usa quelle della lingua corrente. Evita i termini astratti: usa i concreti. Usa la forma attiva, non quella passiva.
R. Flesch ha inventato una formula per misurare l'indice di leggibilità di un testo. Si basa solo sul fatto che la lettura è più facile se le frasi e le parole sono corte. L'indice vale 100 per il libro di prima elementare, 60-70 per i buoni scrittori. Sotto 30 la lettura è disagevole. I regolamenti di applicazione delle leggi della Repubblica stanno a meno 200. Io ho adattato la formula di Flesch all'italiano (e l'ho pubblicata su vari libri e articoli).
Se le cose da dire sono tante, la concisione è impossibile. Dobbiamo scrivere decine o centinaia di pagine. Saranno pochi quelli che le leggono tutte. Se sono documenti di lavoro, ricordiamo che più alto è il grado del lettore, meno tempo avrà per leggere. Per questo ogni relazione, rapporto, studio deve essere preceduto da un Sommario destinato al capo in testa (si chiama Executive Summary). Dovrà essere lungo non più di tre pagine e deve dare un'idea sintetica del contenuto delle 300 pagine che seguono. Dovrà anche contenere una guida al testo che permetta di balzare direttamente alla pagina rilevante per un fine bene individuato. Gli esperti lo sanno bene: è un modo efficace per essere letti e capiti davvero.

Per tornare al modo di parlare, si diffonde da qualche anno l'uso orrendo di intercalari privi di senso e irritanti. Se accendi la radio senti presentatori, intervistati, politici e sedicenti intellettuali che chiedono "Come dire?" due volte al minuto. (Nel mio ufficio chi chiede "come dire?" paga una multa di un euro.) Tempo fa un mio collaboratore espose a un auditorio una presentazione interessante e bene organizzata. Quando ebbe finito lo presi da parte. 
Gli dissi: "In 50 minuti hai detto 55 volte "In qualche modo". 
Ora mi devi dire in che cavolo di modo!".

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