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L’Albero della vita, mappa dei dieci livelli dell’essere.

                                    

Qabbalah Ebraica 
L’Albero della vita, mappa dei dieci livelli dell’essere.

La Qabbalah, che costituisce la tradizione segreta del misticismo giudaico, cominciò a diffondersi in forma scritta intorno al XII secolo, ma ha origini assai più antiche. A livello speculativo ha raggiunto vette altissime, comunicando vertiginose intuizioni metafisiche attraverso un simbolismo di grande fantastica potenza.
Fondamentale a questo riguardo è l’importanza del diagramma dell’Albero della Vita, che compendia gli stadi della manifestazione divina e tutte le possibili relazioni fra spirito e materia. L'Albero della Vita costituisce la sintesi dei più noti e importanti insegnamenti della Cabala ebraica. È un diagramma, astratto e simbolico, costituito da dieci entità (più una DAAT), chiamate Sefirot, disposte lungo tre pilastri verticali paralleli: tre a sinistratre a destra e quattro (più una) nel centro. Il pilastro centrale si estende al di sopra e al di sotto degli altri due.
Le Sefirot corrispondono ad importanti concetti metafisici, (come aspetti autentici della filosofia) a veri e propri attributi o emanazioni della Divinità. Da un punto di vista teologico tali Sefirot o 'Luci Increate' sono dunque considerate di sostanza increata, ma in qualità di emanazioni non sono vere e proprie ipostasi (come processione dell’emanazione divina) e dunque non possiedono la natura divina. Inoltre, esse, sono anche associate alle situazioni pratiche ed emotive attraversate da ogni individuo, nella vita quotidiana. Le Sefirot sono dieci principi basilari, riconoscibili nella molteplicità disordinata e complessa della vita umana, capaci di unificarla e darle senso e pienezza. Osservando la figura, si può notare che le dieci Sefirot sono collegate da ventidue canali, tre orizzontali, sette verticali e dodici diagonali. Ogni canale corrisponde ad una delle ventidue lettere dell'abjad ebraico (come alfabeto consonantico e numerologico).
I tre pilastri dell'Albero della Vita corrispondono alle tre vie che ogni essere umano ha davanti: l'Amore (destra), la Forza (sinistra), e la Compassione (centro). Solo la via mediana, chiamata anche "via regale", ha in sé la capacità di unificare gli opposti.
Senza il pilastro centrale, l'Albero della Vita diventa quello della conoscenza del bene e del male (quello biblico). I pilastri a destra e a sinistra rappresentano inoltre le due polarità basilari di tutta la realtà: il maschile a destra e il femminile a sinistra, dai quali sgorgano tutte le altre coppie d'opposti presenti nella creazione.
Come dice la Bibbia, la via che conduce all'Albero è guardata da una coppia di cherubini, due angeli armati di una spada fiammeggiante. Ciò però non significa che la via sia del tutto inaccessibile. Secondo la tradizione orale, i due Cherubini possiedono l'uno un volto maschile e l'altro un volto femminile. Essi rappresentano le due polarità fondamentali dell'esistenza, così come si esprimono sui piani più elevati della consapevolezza. Con il graduale ravvicinamento e riunificazione di tali principi, questi angeli cessano di essere i "Guardiani della soglia", il cui compito consiste nell'allontanare tutti coloro che non hanno il diritto di entrare, e diventano invece i pilastri che sostengono la porta che ci riconduce al Giardino dell'Eden.

Vale qui la pena di ricordare che i numeri (che ormai tutto il Mondo utilizza) sono nati ed utilizzati in India tra il 400 a.C. e il 400 d.C. per essere poi adottati e diffusi dagli Arabi, risulta pertanto erroneo chiamarli numeri Arabi e, volendo dare un riconoscimento alla diffusione, si ritiene corretto definirli “Numeri Indo-Arabi”. Ancora oggi i numeri Arabi orientali vengono chiamati “Numeri Indiani”.

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PER RIFLETTERE: STORIA ATTRIBUITA A LAO TZE

In villaggio viveva un vecchio molto povero, però perfino i Re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco; non si era mai visto un cavallo di una simile bellezza, forza, maestosità … i Re offrivano prezzi favolosi per quel cavallo, ma l’uomo diceva a tutti: “Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E come si può vendere una persona, un amico?” L’uomo era povero, la tentazione era forte, ma non volle mai vendere quel cavallo.
Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”.
Il vecchio disse: “Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, perché questo è solo un frammento. Chissà cosa succederà in seguito". Ma la gente rideva, aveva sempre saputo che era un po’ matto.
Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò. Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con se una dozzina di cavalli selvaggi.
La gente di nuovo accorse e disse: “Vecchio, avevi ragione Tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”.
Il vecchio disse: “Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no? È solo un frammento. Fino a quando non si conosce tutta la storia, come si fa a dirlo? Voi leggete solo una parola in un’intera frase: come potete giudicare tutto il libro?”.
Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.
Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: 
Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai”.
Il vecchio disse: “Sempre a dare giudizi, è un’ossessione. Non correte troppo. Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. 
Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. È ancora un frammento, non ne sappiamo mai di più…”.
Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, e tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché era uno storpio. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, e tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata, perché era una guerra persa in partenza, i nemici erano troppo potenti.
Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”.
Il vecchio, di nuovo, disse: “Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra, e mio figlio no. Chi lo sa … se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. 
Solo Dio lo sa, solo la totalità lo può sapere”.
Non giudicare, altrimenti non sarai mai nel disegno complessivo del Grande Architetto. Sarai ossessionato dai frammenti, vorrai trarre delle conclusioni basandoti solo sulle tessere del mosaico, sui particolari. Una volta che hai espresso un giudizio, hai smesso di crescere. Di fatto, il viaggio non finisce mai. Un sentiero finisce e ne inizia un altro. Una porta si chiude, e un’altra se ne apre. 

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